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Ragioni e falle di Brzezinski sulla diplomazia Usa

In un corsivo apparso sul Financial Times Zbigniew Brzezinski, ex consigliere per la sicurezza nazionale di Jimmy Carter, sembra scontento del livello in cui si trova lo stato teorico della diplomazia americana. L’apprezzato analista di politica internazionale del genere “realista” fa onore al suo ruolo citando uno per uno i motivi per cui, secondo lui, gli Stati Uniti girano oggi a vuoto nel mondo.
 
La causa di questo spaesamento globale per Brzezinski sta nella mancanza di “razionalità nel pensiero diplomatico di Washington”, che propone “rimedi semplicisti a sfide complicate”. Da scienziato della globalità, l’analista Usa va a caccia della causa di questo stato di cose e la trova nella lunga campagna elettorale americana.
 
Ora chi, da buon alunno, vorrebbe a sua volta applicare il metodo cartesiano all’articolo dell’analista Usa scoprirebbe che su 15 Paesi citati, 11 appartengono al Medio Oriente e 10 sono arabofoni. In percentuale si direbbe che la mancanza di razionalità diplomatica Usa riguarda al 73% il Medio Oriente e al 67% allo spazio dove l’arabo nelle sue diverse sfumature è lingua comune.
 
Non vi sono invece rischi di comportamenti irrazionali tra Usa, Cina e Russia. Non fosse altro perché i tre si conoscono. Nelle forme di amici e/o nemici, avversari e/o alleati, tutti modi della razionalità dei comportamenti non solo statali, Mosca, Pechino e Washington si frequentano da tempo. Cina e Russia da molto di più. Il problema allora sta in quella parte del mondo che Brzezinski cita tra il 66 e il 73% di volte.
 
Come dare torto all’analista?
Iraq, Afghanistan, Iran, Palestina, Israele, Egitto, Siria. Tutti Paesi mediorientali. Altrettanti buchi neri del pensiero strategico Usa post guerra fredda. Sbaglia però lo scienziato delle relazioni internazionali a dare la colpa di questo deserto intellettuale in prima battuta a Mitt Romney e, subito dopo, a Barack Obama.
 
Il vuoto Usa riguarda certo quella parte del mondo ma è dovuto forse a cause diverse.

A qualche settimana di distanza dall’attentato dell’11 settembre un arabista francese di fama internazionale intervistato dalla stessa testata dove oggi è apparso il saggio di Brzezinski, parlava dello stato desolante degli studi arabi negli Usa.
 
Dopo la vittoria nella guerra fredda gli Usa non fanno col mondo arabo quello che facevano con l’Urss. Non studiano più lingua e cultura di quello che stava diventando l’avversario. Non tutto il mondo arabo ovviamente, ma una parte indubbiamente sì.
 
L’assunto era che dopo la “stravittoria”contro l’Urss gli avversari sarebbero spariti per l’eternità. Uomini e idee alternativi ai vincitori non ce ne sarebbero state più. Era arrivato il tempo del riposo. Il ministro degli Esteri sovietico era invece convinto del contrario. “Come farà ora l’Occidente senza avversario?” si chiedeva Gromyko.

 
E se mister nyet avesse ragione? Se la vita senza avversario fosse più scomoda di quella con l’avversario? Allora servirebbe maggior impegno. Ossia il vincitore dovrebbe essere talmente forte da trovare in se stesso l’avversario scomparso. In questo caso la povera campagna elettorale Usa sarebbe innocente. Washington dovrebbe tornare a pensare che esistono culture e civiltà che hanno qualcosa da dire anche se non condividono in toto il pensiero uscito trionfante dalla caduta del Muro di Berlino. E attrezzarsi per conviverci. Combatterle a volte. Altre volte invece allearsi contro i nemici comuni.
 
L’autore di Strategic Vision: America and the Crisis of Global Power, è senza colpe. Lui appartiene a un’altra scuola. Come Max Weber che una volta consigliò a chi aveva bisogno di visioni di andare al “cinematografo”. Ma era europeo. Come Brzezinski in fondo.
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