Alfredo Biondi, ministro della Giustizia nel primo governo Belrusconi, l’ha ribattezzata “la maledizione di via Arenula”. Non è solo l’attuale Gaurdasigilli Anna Maria Cancellieri ad essere finita tra le polemiche. La lista dei polveroni che hanno colpito negli ultimi anni i titolari del dicastero è lunga.
Sarà allora per questo che quasi tutti i suoi predecessori interpellati dal quotidiano Il Tempo difendono il suo operato e sembrano dire in coro. “Così fan tutti”. Ognuno con una sfumatura diversa. Così se Claudio Martelli (91-92) dà una spiegazione tranchant, “sembra tutto un bisticcio patetico. L’unica spiegazione è che siamo malati”, per Lamberto Dini (95-96) “non ha senso costringere alle dimissioni una donna delle Istituzioni con una carriera impeccabile come la sua per una vicenda di questo genere”.
Più prudenti nelle risposte Francesco Nitto Palma (2011), “conta soltanto le rilevanza del caso” chiarisce, e Virginio Rognoni (86-87) che dice di non aver mai ricevuto richieste simili ma di aspettare le parole del ministro in Parlamento per commentare. La butta sul personale Clemente Mastella (maggio 2006-maggio 2008): “Ci fossi stato io al posto della Cancellieri probabilmente mi avrebbero indagato lo stesso”.
L’unica eccezione è il leghista Roberto Castelli (2001-2006) che giudica “una grave leggerezza” quella commessa dalla Cancellieri perché “un ministro della Giustizia riceve questo genere di sollecitazioni ogni giorno. Sta poi alla sua sensibilità capire se si tratta di ‘raccomandazioni’ inopportune o di legittime segnalazioni. Quando però entrano in gioco rapporti personali la questione si fa molto più delicata. Un ministro dovrebbe essere completamente ‘estraneo’ rispetto ai casi di cui si occupa”. Anche se fa notare come l’esito della vicenda sarà “una decisione politica, non certo sulla sostanza della questione”.