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La tempesta perfetta fa naufragare le reti locali

Spesso le testate giornalistiche raccontano della crisi che sta colpendo i principali network nazionali (Rai, Mediaset e TiMedia) per via della flessione del mercato pubblicitario. Il deficit di TiMedia è stato prodotto da un sensibile aumento dei costi delle risorse artistiche reclutate da La7 e dall’esplosione dei costi delle produzioni TV. La recessione al momento non pare coinvolgere i “player” digitali entrati, sul mercato televisivo italiano negli ultimi anni, Sky Italia, Discovery Italia e SwitchOvermedia.
 
La recessione di un settore che interessa 340 emittenti televisive (locali ed areali) non trova spazi di visibilità nazionale. Da tre anni, la rete territoriale contrassegna un saldo negativo di ricavi e costi ( Fonte: FRT – Federazione Radio Televisioni).
 
Nel 2010, il 51% delle imprese ha presentato bilanci in passivo, per un totale di 43,8 milioni di euro. Diverso è, al contrario, l’ammontare degli utili delle 167 imprese televisive con bilanci attivi. Si raggiunge un totale di 22,4 milioni di euro.
 
A rompere il muro del silenzio sulla crisi del settore: l’articolo de “Il Fatto Quotidiano” del 25 ottobre scorso, scritto da Chiara Merico, che dettaglia le vicissitudini di Odeon TV. Lo storico network milanese, solo fino a tre anni fa, ha occupato 250 persone. Adesso: rischia la chiusura.
 
Ancora, di particolare interesse è il convegno di Livorno, a cui hanno partecipato i vertici dell’emittenza televisiva toscana, l’Associazione Stampa Toscana e alcuni politici regionali. Tema dominante: lo stato di crisi del settore dell’emittenza locale, centinaia di licenziamenti, tra i giornalisti delle redazioni e personale tecnico-amministrativo, che manda avanti le emittenti.
 
In Toscana, la crisi ha colpito emittenti storiche come Italia 7, Canale 10, Rete 37, TeleTirreno, Tv1, Noi Tv, Tele Etruria, La 8 e 50 Canale. Ma in generale da tutt’Italia giungono notizie di vertenze che si aprono, di ricorso ad ammortizzatori sociali e posti che si perdono e tante emittenti locali entrate nel digitale terrestre sono a rischio chiusura.
 
In generale, da tutta la Penisola, giungono notizie di vertenze, di ricorso agli ammortizzatori sociali, di perdita di posti di lavoro e di un vasto numero di stazioni televisive locali, prossime al fallimento.
 
In questi anni, lo switch-off digitale (completato lo scorso luglio) ha imposto, alle emittenti televisive, ingenti investimenti di innovazione tecnologica. Della serie: “non sempre l’innovazione apporta sviluppo”.
 
Peraltro, il passaggio al digitale è avvenuto con la crisi economica montante che noi tutti conosciamo. Questa ha determinato un calo dei finanziamenti pubblici nel settore e un deficit della raccolta pubblicitaria (aspramente avventatisi sull’emittenza locale, meno strutturata). C’è da aggiungere che anche in una sezione deregolamentata, come quella delle televisioni libere degli anni ‘80, negli ultimi decenni, la burocrazia ha fatto il suo ingresso. Infatti, incombenze amministrative, talora inutili ed eccessive, si sono abbattute sulle aziende, impegnando personale non direttamente dedicato alla produzione TV.
 
A distanza di pochi mesi, Frt ha avvisato il Governo circa questo gravame che le imprese televisive devono sostenere per la stesura dei tanti e ricorrenti obblighi verso Agcom, Siae, Imaie, Scf, Roc, Ies, Sic, Arpa, Corecom. Alcuni anche in formato cartaceo, nonostante internet.
 
Ad aver concorso a penalizzare questo comparto economico ha contribuito chi si è occupato dell’assegnazione delle frequenze e dell’ordinamento delle numerazioni delle emittenti sul telecomando.
 
L’etere locale, nell’era analogica, è riuscito ad occupare i pulsanti dall’9 in su. Con l’avvento dello swith-off, è stato fortemente bersagliato dall’offerta tematica degli editori nazionali (i quali ne hanno tratto evidente vantaggio).
 
Se il digitale terrestre, infatti, ha inciso sfavorevolmente, finora, sui proventi Rai, TiMedia e le Locali: con Mediaset (che ha, limitato le perdite), gli standard del digital broadcast e le scelte ministeriali hanno agevolato i nuovi editori digitali (cresciuti sulla payTV di Sky e trasferiti sulla free TV).
 
Discovery, con Realtime, DMax, Switchover Media, di Frisbee e K2, L’editoriale, L’Espresso-Repubblica e De Agostini, rappresentano gli elementi che si avvalgono di un’offerta televisiva d’intrattenimento di qualità, senza avere obblighi di servizio pubblico, come l’informazione e gli approfondimenti giornalistici.
 
Se intendiamo attribuire una colpa ai editori locali: il fatto di non essere riusciti ad evolversi nella qualità dell’offerta televisiva è indiscutibile. Sporadico ed incostante è stato l’impegno profuso in iniziative “in syndication”, volte ad offrire programmi nazionali “di un certo calibro”. Peraltro, messi in onda soltanto in alcune fasce orarie (Il Processo di Aldo Biscardi, Virus di Gianfranco Funari).
 
Lo scorso anno, i due principali canali televisivi areali, Telelombardia di Sandro Parenzo e Telenorba di Luca Montrone, insieme ad altre decine di editori locali, hanno creduto e partecipato all’avventura della prima edizione di “Servizio Pubblico” (che, nella prima puntata, è riuscito a raggiungere 3 milioni di telespettatori ed il 13% di share). Il modesto incasso pubblicitario dell’operazione televisiva di Michele Santoro, sostenuta, inoltre, da una sottoscrizione di simpatizzanti, ha spinto il conduttore a riconsiderare il passaggio a La7, dopo il fallimento delle trattative dell’anno prima.
 
Luigi Ricci

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