Questa volta la battaglia di via Solferino sembra davvero persa: il Corriere della Sera, che dal 1904 aveva fissato al civico 28 di quella strada nel quartiere Brera la sua sede, dovrà emigrare assieme alla rosea sorella Gazzetta dello Sport a Crescenzago, periferia nord-est di Milano, dove la Rcs Mediagroup ha costruito un paio di palazzi destinati a ospitare, nei faraonici budget degli anni d’oro, tante redazioni e relativi servizi. Ma con l’arrivo della crisi quei budget sono apparsi megalomani e quei palazzi sono rimasti desolatamente vuoti, pronti comunque a raccogliere giornalisti & c. del Corriere in modo da poter vendere al fondo americano Blackrock la sede di via Solferino per 120 milioni: una cifra di tutto rispetto ed essenziale alla salute finanziaria del quotidiano e della casa editrice.
E mentre la nazione intera, affranta, si raccoglie attorno ai giornalisti del Corriere colpiti negli affetti più cari dovendo rassegnarsi all’idea di andare al lavoro con la poco aristocratica metropolitana (c’è una fermata della linea verde proprio lì davanti all’ingresso) gli azionisti hanno approfittato dei vari consigli di amministrazione dedicati appunto al mattone solferiniano per toccare anche qualche argomento altrettanto importante.
Uno in particolare: Pietro Scott Jovane, ex amministratore delegato di Microsoft Italia, passato con lo stesso grado in Rcs nel maggio del 2012 è davvero il manager adatto a tenere in piedi la prima casa editrice italiana? Se lo domandano sempre meno sottovoce diversi azionisti e alcuni, addirittura, arrivano a dire: “Forse aveva ragione Rotelli”.
Che cosa vuol dire? La storia è questa. Scott Jovane fu scelto in una ristretta rosa di nomi preparata dalla società di cacciatori di teste Spencer Stuart, usata di frequente dalla Fiat e dal suo presidente John Elkann per le ricerche di manager. Altri nomi di quella rosa erano Gabriele del Torchio, allora in Ducati e adesso in Alitalia, e Andrea Zappia, numero uno di Sky Italia. La scelta cadde su Scott Jovane perché gli azionisti Rcs, restii a delegare anche un grammo di potere, volevano un manager disposto ad ascoltarli. E Scott Jovane veniva da una filiale di una multinazionale, Microsoft, che non permette ai suoi country manager di decidere nemmeno gli arredi dell’ufficio: sembrava offrire questa garanzia di – diciamo così – docilità intrinseca richiesta. Così la pensava anche Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda, allora primo azionista del Corriere. “Parlerò io un paio di volte la settimana al giovane Jovane – diceva a un amico -consulente – e gli indicherò la strada”. E così Scott Jovane divenne numero operativo uno della Rizzoli per acclamazione. Lo stesso Rotelli dichiarò: “E’ un ottima scelta, sono molto soddisfatto”.
Ma le cose non sono andate come previsto. Jovane, nel tempo, chiacchierava più volentieri e più spesso con il quasi coetaneo John Elkann che con l’anziano e saggio Rotelli. E seguiva una strada totalmente diversa da quella pensata dall’imprenditore della sanità. Il quale, negli ultimi tempi, ha manifestato tutta la sua delusione e, confidandosi con amici, è arrivato a dire che per Rcs sarebbe stato meglio sostituire al più presto quel manager. Poi si sa come le cose sono andate: Rotelli è mancato nel giugno scorso, la sua finanziaria Pandette non ha partecipato all’aumento di capitale riducendo la partecipazione in Rcs al 3,37 per cento. E Scott Jovane è rimasto lì. Ora però, dopo oltre un anno di gestione dove si sono visti molti tagli e vendite, e una sola stravagante strategia, cioè la fusione fra il Corriere e la Stampa della Fiat (prima azionista anche del Corriere stesso), molti si domandano per chi lavori davvero Scott Jovane. E alcuni incominciano a chiedersi se il saggio Rotelli non avesse ragione.