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Sorpresa, l’Iraq ha una soluzione per la crisi in Siria

Il ministro degli Affari esteri dell’Iraq, Hoshyar Zebari, è in prima fila nelle negoziazioni per la risoluzione del conflitto siriano. Il suo Paese è nella presidenza della Lega Araba, che si sta battendo per riportare la pace in Siria. E di violenza, autoritarismi e divisioni l’uomo che guida i rapporti internazionali dal 2003, quando è caduto il regime di Saddam Hussein, ne sa qualcosa.
 
“La crisi siriana ha una dimensione regionale e internazionale. Ci vorrà del tempo, ed è necessario che ci siano determinate condizioni, per superare questa congiuntura”, ha detto Zebari durante una conferenza stampa organizzata dall’Istituto per le relazioni tra l’Italia e i Paesi dell’Africa, America latina ed estremo Oriente (Ipalmo) ieri alla Farnesina.
 
Zebari non è ottimista. Ha detto che nessuno dei precetti indispensabili per risolvere la crisi ci sono. “Prima ci vuole un semplice cambiamento di regime. E sappiamo che questo si può ottenere solo con l’opposizione interna o l’intervento esterno per modificare gli equilibri sul campo. E in Siria questo non c’è. Poi serve un’iniziativa politica per affrontare il periodo di transizione. Nessuno deve credere che si può guidare un Paese dove l’esercito deve essere nei confini delle regioni per controllare le entrate e le uscite dei cittadini”, ha spiegato il ministro.
 
La situazione in Siria è devastante ed esige un piano di azione immediato, sostiene Zebari. La sua esperienza è di prima mano e conta sul dramma che ha vissuto l’Iraq dopo la dittatura di Saddam. Il rappresentante del nuovo governo iracheno è consapevole che semplificare la risoluzione del conflitto con la militarizzazione può solo comportare più spargimento di sangue senza garantire effettivi risultati.
 
La Siria senza Assad
 
“Nessuno apprezza Assad. Nessuno piangerebbe la sua dipartita. Il mio Paese ha subito attacchi da parte di elementi siriani. Ma abbiamo l’esperienza necessaria per dire con cognizione di causa che se manca un programma politico nulla di buono può venire”, ha sostenuto Zebari.
 
A giugno scorso la Lega Araba si è incontrata al tavolo di negoziati a Ginevra per discutere sulla questione siriana. E il prossimo passo è chiedere il cessate il fuoco proposto dal rappresentante Lakhdar Brahimi alla fine della festività mussulmana (tra il 24 e il 30 ottobre). Solo le parti coinvolte, regime e opposizione, potranno risedersi a dialogare, sempre a Ginevra, luogo neutrale. “E qui entra in gioco la diplomazia – ha detto Zebari – Questo evento ci darà un’idea di quanto sono interessati le parti a risolvere il conflitto e quanto può fare la comunità internazionale. Dove ci porterà? Non lo sappiamo, ma non abbiamo un’altra scelta”. Il ministro iracheno non esclude un’estremizzazione del conflitto. Se cominciano a essere utilizzate bombe a grappolo, armi chimiche o altri strumenti di distruzione massiva, cambia completamente la situazione.
 
L’Iraq è un modello di convivenza?
 
Fino a otto, nove anni fa, l’Iraq era terra di perenne guerra. C’era al potere un uomo ossessionato dal potere, Saddam Hussein. L’odio e la morte avevano seminato l’odio nella popolazione. La divisione religiosa, sociale e culturale faceva dello scontro pane quotidiano. Le fratture in Iraq non sono svanite con la scomparsa di Saddam. Anzi. L’Iraq sembrava un caso disperato di stabilità e rovina. Ma è stato il desiderio di raggiungere una qualità di vita migliore a unire tutte le forze del Paese e decidere un progetto politico più o meno comune. Secondo Zebari, l’esito positivo dell’esperienza irachena è un modello a seguire nella regione, in quei Paesi che si sono stancati del malessere di regimi totalitari e sono alla ricerca del benessere per tutta la popolazione.
 
“I Paesi che guardano i conflitti nel Medio Oriente devono cambiare atteggiamento. Le persone che sono in piazza vogliono la possibilità di esprimersi e di avere un reso conto da parte di chi li governa. Avere un dialogo con il Parlamento, poter contare su una stampa libera e il rispetto dei diritti umani e civili. Non ci sono elementi ideologici, sionisti o slogan politici. La gente è preoccupata della quotidianeità, il lavoro ed è per il proprio benessere e quello della propria famiglia che si stanno battendo”, ha detto Zebari.


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