Chissa’ se alla base dei dissensi politici mai ricomposti sino alla rottura dei rapporti interpersonali, tra ‘il passionale e sensibile’ Antonio Gramsci ed ‘il cinico e freddo’ Palmiro Togliatti ed il suo stesso partito, il Pci, ci sono state ragioni piu’ profonde, mai confessate, come la sensibilita’ e l’attenzione per le donne! Certo, lo spessore culturale, l’intelligenza e l’intuizione formidabile nell’analisi della realta’ e la capacita’ di elaborazione teorica, ebbero il loro peso: ma queste indubbie qualita’ andavano di pari passo con la costante presenza delle donne nell’attivita’ di Gramsci. Direttore di ‘Ordine Nuovo’, volle con se’, come redattrice, Pia Carena, di cui si innamoro’, ed a Camilla Ravera, affido’ ‘La tribuna delle donne’, dedicata ai temi dell’emancipazione femminile che, mai disgiunta dall’emancipazione maschile, ne divenne la forte leva. La Ravera, il cui slogan fu “la donna libera dall’uomo, tutti e due liberi dal capitale”, analizzo’ tutti gli aspetti, anche piu’ privati, della vita quotidiana in cui si manifestava l’ideologia borghese radicata nella classe operaia e “tra gli stessi compagni” affetti dalla cultura patriarcale che voleva l’uomo capo indiscusso della famiglia. Denuncio’ la mercificazione del matrimonio e del rapporto di coppia che obbligava gli individui ad un brutale rapporto economico per il sostentamento reciproco; lo squallore della vita della casalinga; la fatica disumana cui erano sottoposte le donne lavoratrici tra casa e fabbrica; la miseria fisica e morale della maggioranza delle famiglie di fronte alla quale, “tutta la fraseologia borghese sulla liberta’, sull’amore, sulla famiglia, sui rapporti tra genitori e figliuoli, diventa tanto più nauseante”. Veniva trattata anche la maternita’ e si smascherava l’ipocrisia circa le sue gioie: per le lavoratrici è “una disgrazia” finche’ la societa’ non ne riconoscera’ “il valore sociale” e, se non se ne accollerà i compiti, si deve consentire alla donna “di accettarla o rifiutarla”. Per la prima volta, cosi’, si affermava il diritto all’aborto: ma tale coraggiosa posizione, con la degenerazione stalinista, non fu piu’ ripresa dal Pci fino agli anni Sessanta. Ecco come la Ravera, che per le sue critiche al patto Molotov-Ribbentrop del ’39 fu, con Umberto Terracini, espulsa dal Pci, denunciava sulle pagine affidategli da Gramsci la schiavitu’ del capitale nella miseria della vita privata: “Schiavo del capitale l’uomo, corrotto dalla sua stessa schiavitù, cerca di prendere la rivincita soggiogando la donna, sfruttandola e martirizzandola. Estenuato da un lavoro senza gioia e senza ideale, l’uomo cerca l’oblio nell’alcool, nella crapula; la donna custode del focolare, ne è sempre la vittima. E’ la donna che prepara la carne da cannone, la carne da sfruttare, la carne da piacere. La donna non diventera’ libera che quando l’uomo sara’ libero”. A differenza del suo partito, Gramsci richiamava continuamente le donne alla “partecipazione diretta, creativa e consapevole delle masse popolari” ed indicava come obiettivo del lavoro delle donne comuniste “la necessità di uno sviluppo democratico del movimento femminile nella prospettiva del socialismo”. Proposte che non rimasero senza effetto: ‘Ordine Nuovo’ pubblico’ sia il Manifesto del II° Congresso dell’Internazionale Socialista alle lavoratrici di tutto il mondo, sia articoli della Zetkin, della Kollontaj, della Luxemburg, che resoconti sull’evoluzione della lotta per la liberazione della donna durante la rivoluzione russa. Ed e’ poi sotto la direzione di Gramsci che il Pci organizza, fra le sezioni di lavoro, la commissione nazionale per il lavoro fra le donne. Nel marzo del ’22 a Roma c’e’ il II° Congresso del Pci e Gramsci optera’ per la Prima Conferenza delle donne comuniste dove non solo ribadi’ il valore dell’emancipazione femminile ma pose la necessita’ di partire “dalla conoscenza esatta e differenziata delle condizioni di vita e di pensiero delle donne”, ed in particolare “dalle loro esigenze e asprirazioni” e quindi costruire nel partito e nelle masse “gli strumenti di questo particolare lavoro”. Gramsci, insomma, era ben consapevole dei problemi connessi alla condizione della donna. Anni prima, in una recensione sull’Avanti del marzo 1917, il critico Gramsci si domandava perche’ il pubblico di fronte alla messa in scena di ‘Casa di bambola’ di Henrik Ibsen, fosse rimasto sordo al dramma umano di Nora Elmer che “abbandona la casa, il marito, i figli, per cercare se stessa”. La sua risposta fu: il pubblico era portatore di “una morale tradizionale della borghesia grande e piccola” ed era percio’ incapace di accettare “una morale e un costume per il quale la famiglia non e’ piu’ un istituto economico, ma e’ specialmente un mondo morale in atto, che si completa per l’intima fusione di due anime che trovano l’una nell’altra cio’ che manca a ciascuna individualmente; per il quale la donna e’ una creatura umana a sé, che ha i bisogni interiori suoi, che ha una personalita’ umana tutta sua e una sua dignità di essere indipendente”. La riflessione continuo’ anche nei ‘Quaderni del carcere’, con la necessita’ “della formazione di una nuova personalita’ femminile” connessa alla delicata questione della sessuale: “Finche’ la donna non avra’ raggiunto non solo una reale indipendenza davanti all’uomo ma anche un reale modo di concepire se stessa e la sua parte nei rapporti sessuali, la questione sessuale rimarra’ ricca di caratteri morbosi e occorrera’ esser cauti in ogni innovazione legislativa”. Gramsci era alla ricerca di “una nuova etica sessuale” che fosse, per quei tempi e per le elaborazioni in atto, “conforme ai nuovi metodi di produzione e del lavoro” e da acquisire come ‘autodisciplina’ per non restare intrappolati nella fissita’ “delle unioni contadine” per cui “il contadino che torna a casa la sera dopo una lunga giornata di fatica, vuole la Venerem facilem parabilemque di Orazio: egli non ha l’attitudine a fare le fusa intorno a donne di fortuna; ama la sua donna, sicura, immancabile, che non fa smancerie e non poretendera’ la commedia della seduzione per essere posseduta”. Ci sono poi le tre donne russe, le tre sorelle Schucht: Eugenia, Giulia e Tatiana che sono l’altra meta’ di Gramsci: l’amante, la compagna e l’amica. Eugenia ne fu l’amante quando aveva gia’ aveva 33 anni e lui 31 nell’autunno del 1922; Giulia, la piu’ giovane, fu il colpo di fulmine e divenne un anno dopo, nel ’23, la compagna da cui ebbe due figli, uno a Mosca e uno a Roma; infine Tatiana, la piu’ anziana, fu la sua inseparabile confidente nei dodici anni del carcere e fedele segretaria che gesti’ di persona gli originali dei ‘Quaderni del carcere’ e delle ‘Lettere dal carcere’. Le tre sorelle, come la Carena e anche la stessa Ravera, sono il grande ‘rimosso’ di Gramsci, nella storiografia comunista, proibito parlarne e scriverne. Eppero’ di Gramsci si tornera’ a discutere in due prossimi incontri, a cura del Gruppo Storia dell’Associazione Amore&Psiche, alla Libreria Arion di Roma: il 16 novembre con ‘L’enigma del quaderno’ e ‘I due carceri di Gramsci’, editi da Donzelli, di Franco Lo Liparo e poi il 22 con ‘Il tradimento – Gramsci, Togliatti e la verita’ negata’ di Mauro Canali per Marsilio Editori.
Gramsci: donne e cultura causa rottura con Togliatti e Pci?
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