Ieri su Affari & Finanza c’era l’appello di Massimo Giannini al governo per una decisione rapida su Finmeccanica. Il contenuto è condivisibile ma ci sia consentito di fare qualche richiesta aggiuntiva.
Più volte abbiamo condiviso l’opinione di coloro che sottolineano come il problema principale dell’azienda di Piazza Monte Grappa non siano tanto le vicende giudiziarie, sconcertanti e più che sufficienti per rimuovere un gruppo dirigente, quanto le prospettive strategico-industriali e la relativa capacità di questo gruppo nel gestirle.
Non è solo il problema dismettere si o no, quanto rispondere alla domanda di cosa sarà e dove sarà quest’azienda fra 3 o 5 anni. C’è una visione in tal senso?
Per comprendere il senso di questa osservazione merita riflettere sulle vicende di questo gruppo negli ultimi dieci anni. L’era di Pier Francesco Guarguaglini è stata caratterizzata dalla volontà di salvare competenze e dimensione del gruppo trasformandolo da un insieme di aziende che operavano individualmente sul mercato e avevano come principale ed quasi unico cliente il governo italiano, in una grande azienda multinazionale, presente su tutti i mercati del mondo (da circa 80%, il cliente nazionale passò in pochi anni al 40, tutto il resto era export).
Per raggiungere questo risultato Guarguaglini utilizzò le risorse che aveva (vendette la partecipazione in Stm) e indebitò sensibilmente l’azienda, quindi impose una forte integrazione strategica e operativa a tutte le aziende del gruppo, ottenendo grandi risultati sui mercati e forti mugugni all’interno, in particolare da capi azienda come lo stesso Giuseppe Orsi, che si vedevano limitati nella loro autonomia.
Orsi ha seguito fin dal primo giorno della sua nomina una strada opposta: ha distrutto tutto ciò che il precedente ad aveva fatto per imporre un ritorno all’autonomia delle aziende. Come unica giustificazione, ha evidenziato un debito aziendale che è esploso nel primo bilancio da lui presentato ma che si riferiva alla precedente gestione, con ciò giustificando la necessità di vendere alcuni gioielli di famiglia.
Allora la prima domanda va fatta a chi ha messo lì questo gruppo dirigente e cioè all’ex ministro dell’Economia, azionista di maggioranza di Finmeccanica, Giulio Tremonti: questa strategia è il frutto di un preciso mandato? Immaginiamo di sì, altrimenti penseremmo che l’azionista non controlli l’operato dell’azienda. E allora per quali ragioni?
Finmeccanica, che era diventata il quinto gruppo al mondo nel settore dell’aerospazio e difesa, era diventata troppo ingombrante? Qualcuno ha diverse volte ipotizzato pressioni esterne: sono solo fantasie?
Ma una richiesta simile è doveroso avanzare anche all’attuale governo. Che decida o no di cambiare questo gruppo dirigente, dica per cortesia quali sono le indicazioni strategiche che vorrà dare, illustri lo scenario a breve e a medio termine che avremo di fronte, valuti il ruolo strategico dell’azienda nell’economia e nella politica estera. Insomma, anche se governo tecnico, faccia il suo mestiere e ci consenta di valutare le sue scelte.
Così se e quando indicherà gli eventuali nuovi vertici avremo più elementi per comprendere la scelta effettuata che, come già affermato, sarà una delle prime decisioni del presidente del Consiglio, Mario Monti, su cui verrà giudicato nella sostanza e non nella forma giustificata dall’emergenza.