Contrasti fino al divorzio. Iniziata di fatto nel 1997 tra diffidenze e peripezie, la difficile cooperazione tra Bp e un gruppo di oligarchi russi prende la forma Tnk-Bp nel 2003. Quando Mikhail Friedman convince il boss di Bp, lord John Brown, a un passo pieno di conseguenze. Quella che sarà ben presto la terza compagnia petrolifera del paese, nasce come una joint venture alla pari tra il colosso britannico e una società, AAR, di miliardari russi.
In queste ore si conclude invece quella che per la compagnia di Londra era diventata l´ossessione della “questione russa”. I soci infatti hanno sempre avuto aspettative diverse. BP non vedeva l’ora di entrare nel business energetico di Mosca. AAR preferiva girare alla larga dal Cremlino per espandersi all’estero.
Oggi l’industria petrolifera globale assiste alla maggior transazione da quando, 1999, l’americana Exxon inglobava la concorrente Mobil. Per la Russia si tratta invece del più forte consolidamento del settore dal 2008. Anno della messa ko di Yukos. Dopo un estenuante tira e molla gli azionisti di Tnk-Bp hanno detto addio alla propria creatura. La scorsa settimana era stato il cda di Bp a decidere in coro la cessione a Rosneft del proprio 50% in Tnk-Bp. In precedenza era stato il colosso di Mosca a comunicare l’accordo con i soci russi di Tnk-Bp per l’acquisto per 28 miliardi di dollari dell’altra metà della joint venture russo-britannica. E questa volta, a differenza del 2011, AAR non è riuscita a bloccare l’affare.
Con l’acquisizione di Tnk-Bp, Rosneft passa dai 2,4 milioni a 3,4 milioni di barili estratti al giorno. Se a questi si aggiunge la produzione di gas, si arriva alla cifra di 4,5 milioni di barili petrolio equivalente. Rosneft diventa cosi la più grande azienda petrolifera quotata in borsa.
I termini puramente economici dell’affare miliardario sono complicati. Alla fine deIla triangolazione Rosneft, Tnk-Bp, Bp, i britannici incassano 17,1 miliardi di dollari e il 12,8% delle azioni dell’azienda russa. Queste sommate a quelle già possedute dai britannici portano a circa al 19,75% il pacchetto azionario di Rosneft in mano a Bp. E la speranza di due poltrone nel cda dei russi. Se al contante sganciato a Bp si aggiunge quello dato ad AAR, Rosneft ha pagato per Tnk-Bp 54,8 miliardi di valuta Usa, il 38% in più dell’attuale capitalizzazione di mercato della joint venture anglo-russa. Problemi di finanziamento no se ne vedono però.
L’operazione è strategica tanto dal punto di vista energetico che da quello politico.
Nonostante la cessione di quote di Rosneft a Bp, la quota di oro nero federale in mano pubblica è passata dal 25 ad oltre il 39% del petrolio estratto. Anche la leva fiscale è gestita dallo Stato in maniera diciamo asimmetrica. Le norme approvate nel 2004 contenevano livelli di tassazione cosi spinti da non rendere redditizi i progetti di estrazione. Lo scorso settembre il governo a deciso gravi fiscali per l’esplorazione di giacimenti on shore che secondo calcoli UBS riguardano zone controllate da Rosneft, Gazpromneft e Tnk-Bp. Tutte aziende ora pubbliche.
Anche riguardo il mare aperto il discorso non cambia. L’accesso ai giacimenti artici di gas e petrolio è possibile solo in cooperazione con Gazprom e Rosneft. Ovviamente Bp esce avvantaggiata dall’affare. Il valore azionario della compagnia londinese, ancora inferiore di un terzo al livello che aveva al momento della catastrofe del Golfo del Messico, è salito non appena si è sparsa la voce dell’accordo con Rosneft.
In termini strettamente giuridici non è ancora detta l’ultima parola. L’esecutivo di Mosca lo dovrà ratificare. Le due compagnie petrolifere si sono date un limite di 90 giorni per definire i dettagli di un affare che, nel petrolio, avvicina Rosneft al ruolo dominante che Gazprom svolge nel settore dell’oro azzurro federale.