Il robusto rimbalzo dell’azionario scatenato venerdi dal labour market report US di ottobre resta per il momento confinato nei paesi sviluppati. Gli emergenti continuano a soffrire in misura maggiore il fervente dibattito sul tapering (dicembre, gennaio, marzo?) e in generale la forza del dollaro.
La seduta asiatica di ieri ha seguito questo canovaccio, con i principali indici, al di fuori di Tokyo e Hong Kong, incapaci di capitalizzare il recupero di Wall Street, o i buoni dati macro cinesi usciti nel week end.
Su Shanghai hanno pesato indiscrezioni, riprese dal FT, che il Plenum del partito potrebbe imporre riforme strutturali con effetti secondari sulla crescita. Il dato sul nuovo credito erogato a ottobre, uscito in calo e significativamente sotto attese, ha offerto qualche supporto a queste teorie.
La festività US ha imposto il consueto clima svogliato alla seduta Europea, con i risk asset impegnati in un trading erratico e caratterizzato da volumi scarsi. A fine giornata i principali indici incamerano più o meno i guadagni messi a segno dalle borse US dopo la chiusura europea di venerdi. Milano ne approfitta per riportarsi sopra 19.000 punti, anche grazie ad una produzione industriale di settembre uscita in linea con le attese (+0.2% da precedente -0.2%). Con gli investitori americani a casa, la cronaca della giornata si può con ogni probabilità fermare qui.
Ne approfitto per fare una breve riflessione sul dato occupazionale US di venerdi, e il suo possibile impatto sulla politica monetaria US.
Il mercato del lavoro US sembra aver superato senza troppi danni lo stallo politico d’autunno, ed è in condizioni migliori delle attese. Come detto più volte, a causa dello shutdown governativo il rischio di distorsioni nei dati è più elevato del solito. Ma si spera non tale da sovvertirne completamente l’esito.
Detto ciò, i numeri di venerdi non hanno fatto altro che riportare i dati in linea con le medie annuali. Prendendo la serie dei private payrolls, al momento la media a 3 mesi è passata da 152.000 a 189.000. Le medie a 6, 12 e 36 mesi si trovano rispettivamente a 175.000, 196.000 e 189.000.
In altre parole il trend di creazione di posti di lavoro è abbastanza stabile e i segnali di accelerazione sono scarsi. La household survey, pesantemente impattata dallo shutdown, in generale continua a dare segnali meno incoraggianti.
Si tratta di un quadro che difficilmente può essere modificato da una o due successive letture, oltretutto effettuate in un periodo a grosso rischio distorsioni.
Aggiungiamo che l’inflazione si trova assai sotto il target di riferimento e, quel che è peggio, non mostra ancora alcun segnale di rientro verso gli obiettivi. Infine, come osservato più volte, a dicembre ripartono le negoziazioni sul budget, che hanno apparentemente già fermato la mano alla FED a settembre.
Da quando Bernanke ha tirato fuori il fantasma del tapering, a maggio scorso, sono circolate con insistenza voci che tra le sue motivazioni ci fosse quella di iniziare personalmente il ritiro dello stimolo straordinario, prima di abbandonare la guida della FED. Su questa base, sono in molti ad attendersi almeno una mossa simbolica tra dicembre e gennaio. Ci può stare.
Ma a mio parere la cosa può essere vista anche in maniera opposta: ha senso modificare radicalmente la politica monetaria, a poche settimane da un cambio alla guida della FED (e contestuale cambio della distribuzione dei poteri di voto)? Il rischio è di legare le mani ai successori, e alimentare ancora più tensioni sui mercati.
Nonostante il miglioramento dei dati macro, personalmente continuo ad attendermi un tapering non prima di marzo, ed eventualmente dopo.
Vedremo.
Giuseppe Sersale
Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr