Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo l’articolo di Riccardo Ruggeri apparso su Italia Oggi, il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi.
A Bologna ho parlato a un’ottantina di manager della brillante «comunità» Fior di Risorse, su un tema da loro dettato «Ma quale manager?». È una di quelle domande a cui il politicamente corretto imporrebbe di rispondere raccontando, in modo un po’ schifato, come si faceva management vent’anni fa, e come invece si dovrebbe farlo in futuro.
Confesso che aborro questo schema, ho provato a ragionare invece sulla realtà: «di quale manager avremmo bisogno oggi»?
Alcune locuzioni tipiche dei sociologi paiono diventati articoli di fede, così come, in modo speculare, Bergoglio a volte scivola nella sociologia da sacrestia. Costoro ci hanno convinto come il management sia «l’arte della pianificazione». Dicono: tutto deve essere pianificato, e per questo ci forniscono strumenti sempre più sofisticati. Intendiamoci, tutto giusto, ma poi occorre prendere decisioni, e qui latitano, si nascondono dietro «problemi complessi richiedono soluzioni articolate e complesse». L’esperienza mi ha dimostrato che pure questa locuzione, senza dubbio suggestiva, in realtà è un falso, seppur d’autore.
Ora qualche voce fuori dal coro comincia finalmente a sentirsi, ne sono felice, mi sento meno solo.
Scrive ad esempio Frank Barrett: «Le imprese hanno piani per tutto: vendite, fusioni, acquisizioni, innovazione, persino per la fine del mondo. In effetti l’unico piano che manca è quello che riguarda gli eventi nel momento stesso in cui si verificano». È proprio questo il punto, qui sta la nostra debolezza. La risposta, non me ne vogliano i colti, non è il modello, è il leader, la sua capacità decisionale, una merce sempre più rara (tutti fanno analisi, tutti fanno programmi, nessuno decide, spesso quando lo fanno sbagliano). Quasi tutti quelli al potere hanno curricula identici, concepiti per un mondo che la Grande Crisi, per fortuna, sta smantellando senza pietà, loro e noi fingiamo di non accorgercene. I leader idonei a questo momento «di passaggio», non li trovi nelle università, non li creano i laboratori di management, li devi cercare negli interstizi della società, nei campi, nei boschi, nelle savane, spesso quando li trovi non possiedono la caratteristica oggi premiante, diventata autentica turbativa d’asta: l’empatia. Anni di politicamente corretto ci hanno ridotti a innamorarci di giullari e di pifferai, che ci ripetono fino allo sfinimento frasi fatte, senza mai prendere uno straccio di decisione: sono identici alle claque dei talk show.
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