Un fantasma si aggira per gli Stati Uniti. Quello del fiscal cliff, il baratro fiscale. Ovvio, si direbbe, visto che il deficit pubblico Usa veleggia sull’8 per cento del Pil. Entro la fine dell’anno scadono diversi sconti fiscali e in America il tetto del debito pubblico è fissato per legge. In caso di mancato accordo tra esecutivo e Congresso i tagli alla spesa pubblica sarebbero automatici e lineari. Un caso che non mancherebbe di ripercuotersi sull’economia di Washington e in seconda battuta su quella globale.Cosi l’accordo col Congresso è un obbligo per la nuova amministrazione.
Michael Lind, direttore del programma di crescita economica alla New America foundation di Washington, prende in considerazione la vittoria democratica alle elezioni di martedì notte per cercare di capire quale possa essere l’accordo con un Congresso che invece l’analista ritiene a maggioranza repubblicana.
Sarà possibile in questo caso neutralizzare il fiscal cliff con un “grande patto” tra le due istituzioni fondamentali del sistema costituzionale di checks and balances caratteristico degli Usa. Quello che Lind ritiene il baricentro della politica economica progressista, il cosiddetto patto cut-and-invest, potrebbe essere infatti il primo banco di prova della volontà di collaborazione bipartisan tra presidente democratico e Congresso repubblicano.
Secondo l’autore il metodo cut and invest non è cosi teoricamente fondato da poter essere visto come un metodo di politica economica adatto al momento particolare vissuto dall’economia Usa. L’economista prende ad esempio il finanziamento degli investimenti in ricerca e sviluppo e quelli per le infrastrutture cui contrappone tagli che a scelta dovrebbero colpire la terza età, oppure le spese interne. In caso di impossibilità di ulteriori tagli, ipotesi data per scontata da Lind, la palla passerebbe al solito vecchio metodo dell’aumento del carico fiscale in maniera più o meno indiscriminata.
Cosi il cut-and-invest si riduce a uno specchietto per le allodole a strati sociali che vedono con favore la politica degli investimenti pubblici ma non la vogliono pagare con l’aumento del carico fiscale. Ovviamente per funzionare una tale politica economica deve avere presente quali saranno gli strati sociali e i segmenti elettori da coinvolgere a seconda delle policy che verranno attuate.
Una regola base della finanza statale è che le spese operative di un esecutivo vadano coperte dagli incassi dell’anno fiscale, mentre per gli investimenti di produttività di lungo periodo gli indebitamenti debbano essere a loro volta di lungo periodo. Ora secondo Lind la scuola del cut-and-invest ritiene al contrario possibile manovrare contemporaneamente la leva della sicurezza sociale e quella degli investimenti pubblici. Altrettanto si potrebbe dire riguardo il tentativo di salvare tutti i ceti coinvolti dalla politica economica del governo.
Per esempio dare priorità a scelte di ricerche e sviluppo significa privilegiare le generazioni più giovani, mettendo in secondo piano le garanzie date dalla sicurezza sociale. Nel caso in cui si reputino intoccabili i diritti degli anziani, allora l’unica strada è quella dell’aumento generalizzato delle tasse.
La strategia cut-and-invest nasce segnata dal proprio peccato originale? Si, secondo il critico di questa forma di politica economica. Innanzitutto quello di credere possibile che i risparmi provenienti da tagli in sicurezza sociale e sanità possano venire trasferiti in spese altamente qualificate come quelle in ricerca e sviluppo.
Lind ritiene invece che in questo come in altri casi che nella giungla delle politiche economiche contemporanee non bisognerebbe saltare da un albero all’altro utilizzando le liane di cut-and-invest intrecciate a quelle di tax-and-spend. Meglio tornare ai vecchi sentieri. Tasse per le spese sociali e indebitamento per gli investimenti pubblici.