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Il dossier siriano sul tavolo di Obama

Barack Obama può tirare il fiato, ha vinto le elezioni. Ma non per molto. La presidenza degli Stati Uniti non risparmia nemici dentro e fuori casa e Obama ha già in lista almeno due impegnative situazioni di conflitto che erano rimaste in sospeso durante la campagna elettorale, ma che da oggi –o quando finiranno i festeggiamenti della vittoria- esigono una concreta risoluzione. Si tratta delle tensioni con l’Iran e il conflitto armato in Siria.
 
La stampa americana è già partita con l’avvertimento. Se è un bene che abbia vinto Obama, ed in questo modo è garantita la continuità della politica estera degli Stati Uniti per i prossimi quattro anni, non è detto che quella sia la strategia giusta. Chicago Tribune ha aperto la prima pagina di questa mattina con un velato messaggio guastafeste: “Dopo avere sconfitto il repubblicano Mitt Romney, a Barack Obama non mancheranno avversari all’estero, compresi i governi dell’Iran, la Siria e forse anche la Cina”. Il Wall Street Journal è meno pressante ma non tanto ottimista: “La rielezione del presidente Obama gli fornirà poco tempo per festeggiare di fronte a una serie di problemi globali che includono sfide come il nucleare iraniano e la instabilità politica nel Medio oriente, che sta alimentando il caos dalla Siria verso il nord Africa”.
 
La Siria attende
 
Per Lorenzo Trombetta, giornalista basato a Beirut e anima del sito SiriaLibano, dopo la vittoria di Obama non ci saranno molti cambiamenti nell’atteggiamento degli Stati Uniti verso il regime siriano. Obama ha ritirato i soldati statunitensi dall’Iraq e dall’Afghanistan perché “era una decisione che andava presa da chiunque fossi al suo posto”, ha detto in conversazione telefonica con Formiche.net l’esperto di Medio oriente. Le stesse debolezze ci sono state nella gestione di Guantanamo: i progetti del 2008 sono rimaste promesse mancate.
 
Seconto Trombetta, nonostante la retorica obamiana, che è sempre stata meno aggressiva e più conciliatoria di quella del predecessore George W. Bush, la quotidianità dell’uomo comune mediorientale non è cambiata per niente negli quattro ultimi anni. Perché dovrebbe accadere da un giorno all’altro?
 
“L’America –aggiunge Trombetta- sostiene a modo suo i tentativi di risoluzione del conflitto in Siria. Oggi è presente a Qatar nella riunione tra la Lega Araba e l’opposizione siriana. È risaputo che ufficiali della Cia sono in contatto continuo con agenti del Qatar, la Turchia e l’Arabia Saudita, ma è un sostegno che non basta. Gli Stati Uniti dovranno fare i conti con la situazione in Siria ma prima si dovranno misurare con la Russia e la Cina per potere fare qualcosa di effettivo”.
 
Vuote condanne
 
Si diceva che la possibilità di un intervento straniero in Siria aspettava soltanto l’appuntamento elettorale americano per avere la via libera. Obama è più forte dopo la rielezione e si aspetta che ripristini l’attesa sulle decisioni della regione mediorientale. Ma non potrà – e non deve- essere drastico. Secondo l’esperto, prima di qualsiasi mossa è necessario lo sviluppo del dialogo. Con la Russia al tavolo di negoziazione.
 
“Alcuni oppositori siriani che vivono nell’esilio a Beirut commentavano che con la rielezione di Obama cambierà il vento dagli Stati Uniti verso il Medio oriente. Si faranno i conti con una serie di situazione regionali. Io invece sono scettico e mi aspetto un’America attendista. Con le solite condanne ma poche iniziative”, ha spiegato Trombetta.
 
L’elemento israeliano
 
Gestire la Siria è più complesso di quanto si può immaginare. Non si tratta solo di convincere il Consiglio di sicurezza dell’Onu, dopo avere convinto la Russia e la Cina, e avviare l’intervento. Neanche di forzare la mano ed essere più duri verso il regime di Assad. La Siria non è la Libia e ha meno di 50 chilometri c’è l’Israele, un’altra bomba ad orologio. “Sono scenari collegati. Credo che gli Stati Uniti saranno ancora cauti, come in questi due anni, perché un attacco in Siria provocherebbe uno squilibrio devastante nella regione. Anche l’Israele, a differenza di come agisce al solito, con la Siria è più prudente”, ha detto Trombetta. Agli schizzi che sono arrivati dagli scontri con i violenti non ha reagito sparando né protestando, come è abituale e come ha fatto a settembre la Turchia.
 
Per Martin Indyk, vicepresidente di Politica estera della Brookings Institution, il 2013 sarà un anno decisivo nella battaglia contro i fondamentalisti dell’Iran. Obama si impegnerà di più nell’evitare che la loro linea si espanda nella regione e diventi più attiva e assertiva. L’obiettivo è impedire che l’Iran di ottenere armi nucleari, anche se forse ce l’hanno già.
 
Il sostegno di Cameron
 
Secondo l’ex segretario della Difesa americano, William Cohen, Obama avrà una posizione più rigida sulla guerra civile siriana durante questo secondo mandato. E utilizzerà la leva finanziaria degli Stati Uniti con gli Stati del Golfo per contribuire a risolvere il conflitto. Cercherà di lavorare insieme con gli Emirati arabi e con l’Arabia Saudita per attivare un programma di azione, secondo quanto ha detto il segretario della Difesa durante l’amministrazione di Bill Clinton alla Arabian Business.
 
Quello che è certo è che Obama non sarà da solo. Dall’Europa è arrivato la mattina di questo mercoledì il sostegno di David Cameron sulla questione siriana. Secondo il Guardian, il premier ha promesso che si impegnerà con il neo-rieletto presidente americano per trovare il modo di porre fine allo spargimento di sangue in Siria. Dopo aver sentito le storie dei rifugiati in un campo in Giordania Cameron ha deciso che non si può più attendere: la Siria deve diventare una priorità nel secondo mandato di Obama.


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