La pubblicazione della bozza del capitolo sulla proprietà intellettuale della Trans-Pacific Partnership è l’ultimo colpo in ordine di tempo messo a segno da WikiLeaks che rischia di mettere in imbarazzo gli Stati Uniti. Il TPP è il più grande trattato commerciale al mondo. Le nazioni coinvolte sono la prima e la terza economia del globo, Stati Uniti e Giappone, cui si aggiungono Canada, Messico, Australia, Malaysia, Cile, Singapore, Perù, Vietnam, Nuova Zelanda e Brunei. In pratica circa il 40 per cento del prodotto interno lordo mondiale.
Il trattato sarà inoltre apripista di una più ampia intesa, la Transatlantic Trade and Investment Partnership tra Usa e Unione europea, considerata uno dei più ambiziosi trattati bilaterali mai negoziati. Dell’accordo TPP fanno attualmente parte Brunei, Nuova Zelanda, Singapore e Cile. Gli altri Paesi sono tutti ancora in fase di negoziato.
La bozza pubblicata dall’organizzazione di Julian Assange si concentra principalmente sugli interessi delle multinazionali e degli Usa, commentano gli esperti citati dal gruppo australiano Firefax, che tra gli altri pubblica il Sydney Morning Herald e The Age, uno degli organi di stampa con cui WikiLeaks ha scelto di collaborare per la diffusione del documento.
Matthew Rimmer, esperto di proprietà intellettuale, spiega al gruppo australiano come la bozza conceda poco ai diritti e agli interessi dei consumatori. “Il TPP può essere visto come una lista di regali per le grandi corporation e la parte sul copyright ricalca questo punto di vista”, continua Rimmer “Hollywood, l’industria della musica, le grandi compagnie IT, il settore farmaceutico saranno tutti molto contenti”.
Il prossimo giro di negoziati inizierà la prossima settimana a Salt Lake City, negli Usa. Sin dall’inizio delle trattative il livello di segretezza nello stendere i capitoli della bozza e nei negoziati è stato senza precedenti, spiega il comunicato di WikiLeaks. Gli stessi membri del Congresso Usa hanno accesso soltanto a parti del trattato, consultabili sotto supervisione, mentre soltanto tre per Paese, tra quelli coinvolti, hanno accesso al testo completo.
Il timore, scrive Wired.com, è che se dovesse passare, il trattato estenderà agli altri Paesi “alcuni degli aspetti peggiori della legge statunitense in materia di copyright”. Le 95 pagine della bozza, abbastanza recente, ottenuta dall’organizzazione dopo un vertice nel Brunei lo scorso agosto, coprono il tema dei brevetti, del copyright dei marchi registrati.
La sezione più lunga, quella sull’attuazione delle norme, snocciola le politiche per rafforzare questo genere di protezioni, “con ampie implicazioni per i diritti individuali, le libertà civili, gli editori, i provider internet e la privacy”, continua WikiLeaks, che traccia un paragone con le norme contenute nei controversi, e respinti, progetti Sopa e Acta.
Tra le proposte troviamo l’estensione dei brevetti medici oltre i 20 anni, standard globali meno stringenti per ottenerli, con ripercussioni temute sull’accesso ai farmaci e sull’aumento dei prezzi. Ci sono inoltre misure più aggressive per proteggere il copyright o per evitare che si violino i blocchi digitali per aprire software, almeno che non si tratti di “attività autorizzate ai sensi di legge e svolte da impiegati governativi, agenti o contractor a scopi di indagine, intelligence, sicurezza”.
Il documento dà anche l’opportunità di capire quali siano le posizioni dei diversi Stati rispetto all’iniziativa statunitense, che in molti contrappongono a un altro trattato, questa volta su impulso della Cina, la Regional Comprehensive Economic Partnership, che comprende i Paesi dell’Asean, la Corea del Sud, l’Australia, la Nuova Zelanda e l’India e dalla quale sono esclusi proprio gli Usa, come Pechino lo è dal TPP.
Da quanto si apprende Canberra, così come Singapore e il Messico sono vicini alle posizioni di Washington. Fairfax ricorda quando ad aprile l’ambasciatore Usa a Canberra accusò i consumatori aussie di violare abitualmente le norme sul copyright. Mentre George Brandis, nuovo titolare della Giustizia australiana nel governo di Tony Abbott si è impegnato per misure più stringenti contro la pirateria. Su posizioni differenti sembra essere il Giappone.