Qualche sera fa mi sono ritrovato a pensare al film Goodbye Lenin e alla relativa possibilità di un remake in salsa italica. La pellicola in oggetto, girata nel 2003 da regista tedesco Wolfgang Becker, racconta la storia di una donna di Berlino Est, fervente sostenitrice del regime della DDR, che entra in coma prima della caduta del muro di Berlino per risvegliarsi in una Germania in procinto di riunificarsi dopo le prime elezioni democratiche nell’ex Germania Est mentre i simboli del capitalismo stanno prendendo il posto delle insegne comuniste. I figli della donna, al fine di evitarle un fatale shock, mettono in scena una riedizione della vecchia Germania con l’intento di nascondere alla madre l’epocale cambiamento.
Mi sono chiesto se un film del genere potesse avere senso in Italia immaginando che il protagonista entri in coma ad inizio 1994 per risvegliarsi in questi giorni, convincendomi che in realta noi Italiani, come la protagonista del film, siamo già oggetto di una fittizia rappresentazione del passato in un mondo rivoluzionato.
In effetti nulla è cambiato in Italia negli ultimi 20 anni. La grande novità politica si chiama Forza Italia, come quel movimento politico che due decenni fa si impose sulla scena politica italiana garantendo la continuità degli equilibri politici che avevano dominato l’Italia tra il 1948 e Tangentopoli, celando l’intento dietro una grandiosa innovazione in termini di strumenti di comunicazione elettorale. Il leader del vecchio/nuovo movimento è lo stesso che continua a basare la propria propaganda politica su un misto di anti comunismo ed anti politica, quasi che in questi ultimi 20 anni avesse continuato a fare l’imprenditore, peraltro storicamente non estraneo a rapporti con i politici, non essendosi alternato tra Palazzo Chigi ed il Parlamento, governando inoltre a lungo, per mezzo dei propri rappresentanti, le principali regioni Italiani ed i più importanti comuni.
Anche il principale antagonista della nuova Forza Italia in fondo rappresenta la continuità della gioiosa e perdente macchina da guerra dei Democratici di Sinistra, a sua volta erede del PCI sui cui tradizionali punti di forza (rete territoriale delle sezioni di partito, vicinanza al sindacato e supporto da parte della intellighenzia degli intellettuali di sinistra) continua a fare leva.
Continua ad esistere la Lega Nord e Sel, in cordata con il PD, in fondo altro non è che la vecchia Rifondazione Comunista alleata con i DS. Scelta Civica ricorda l’esperienza effimera del Patto Segni, sia in termini di disattese aspettative di proporre un cambiamento partendo dal centro che di successiva irrilevanza parlamentare. L’unico elemento nuovo è il Movimento 5 Stelle, che, almeno per il momento, sta contribuendo più a rinnovare il repertorio di barzellette sui politici grazie alle continue gaffes dei suoi rappresentanti che i temi oggetto di confronto nelle sedi istituzionali.
Anche i principali commentatori della politica, da Scalfari a Sartori, da Della Loggia a Feltri, sono gli stessi del 1994 e lo stesso vale per i signori dei talk show politici, da Vespa a Santoro.
Pure le categorie della dialettica politica sono le stesse di 20 anni fa che ispirate dalla contrapposizione ideologica del Dopoguerra, continuano a classificare le idee come di destra o di sinistra, liberali o stataliste, riformiste o reazionarie, condizionando la mente degli aspiranti innovatori e rendendo effimera ogni nuova iniziativa. Forse anche gli stessi liberali, incluso il sottoscritto, dovrebbero interrogarsi se il continuare a proclamarsi tali non faccia altro che bloccare ogni reale rinnovamento che gli stessi, sulla base delle proprie visioni e competenze, potrebbero apportare.
Peccato che durante questi interminabili titoli di coda della Prima Repubblica il mondo sia cambiato in peggio per l’Italia. La globalizzazione ha modificato i rapporti di forza tra le super potenze economiche e le direttrici delle geopolitica globale, ora focalizzate sulla rotta Washington-Pechino hanno marginalizzato il Vecchio Continente e conseguentemente il nostro Paese, che a lungo ha beneficiato del sostegno economico statunitense in ragione del proprio posizionamento strategico nel Mediterraneo. Anche le dinamiche economiche non sono più le stesse con la crisi del modello dei distretti produttivi, motore del boom economico del Dopoguerra, danneggiati da un sistema che discrimina investimenti ed innovazioni in favore di rendite di posizione ed oligopoli locali.
Questi 20 anni di stasi hanno strutturalmente danneggiato la capacità del Paese di produrre ricchezza e di possedere una qualche rilevanza in un mondo sempre più competitivo e dalla consapevolezza di questa devastazione bisogna ripartire. La focalizzazione sugli interventi di facciata volti a mantenere in vita, anche tramite la, peraltro lenta, alternanza dei rispettivi leader, movimenti politici impregnati da una visione del mondo ormai superata dalla Storia è inutile e dannosa ed allontana l’unico evento che può realmente modificare la parabola del Paese, vale a dire la nascita di un nuovo soggetto che, superando le vecchie polarizzazioni e terminologie e senza autoproclamarsi parte di alcuna tradizione e ideologia del passato, affronti con pragmatismo e realismo le necessità del nostro sistema economico ed istituzionale, facendosi propositore e artefice di quella cura da cavallo necessaria per curare i mali del Paese.
L’alternativa è che qualcuno giri davvero un film magari dal titolo “Goodbye convergenze parallele” per ironizzare sull’incapacità del nostro Paese di reinventarsi dimenticando però che, tristemente, di quella farsa siamo tutti allo stesso tempo involontari protagonisti e vittime.