Status quo e persistenti conflitti – sia di carattere culturale che economico – sono i due elementi che caratterizzano sempre più la vita nella società post-industriale e post-democratica (Colin Crouch), dell’”Unione Europea”.
Infatti, le differenti prese di posizioni in merito alle strategie di politica economica stanno acuendo il conflitto all’interno degli stati nazionali e dell’Unione Europea. La strategia di politica monetaria “espansiva” da parte della BCE ne è la dimostrazione.
“Il taglio dei tassi da parte della Banca Centrale Europea, ha suscitato controversie enormi, sia all’interno che all’esterno della BCE, poiché le discussioni sulla politica monetaria europea non sono semplicemente uno scontro di idee, ma assomigliano sempre più spesso a uno scontro tra nazioni”. (Krugman, la trappola dell’euro, la Repubblica).
Krugman, tiene a precisare che la faccenda sta assumendo i “toni di uno scontro tra teutonici latini, con l’euro che avrebbe dovuto unificare gli europei, ma che in realtà li sta separando”.
Gli Stati nazionali rimangono – per alcuni ambiti – gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti stanno avvenendo tra nazioni, aventi differenti culture e dunque approcci dissimili legati alla visione del futuro e della società.
I diktat da parte dei paesi del Nord e della Troika stanno mettendo a dura prova la tenuta sociale dei paesi in difficoltà, chiedendo enormi sacrifici al fine di raggiungere il rispetto dei tanto auspicati parametri di bilancio. Ma questa strategia più che unificare, divide, più che collettivizzare le sorti degli Stati, individualizza le identità nazionali…
L’unione politica e bancaria sono lontane e l’unica luce – seppur fioca – che tiene in vita il futuro dell’UE sembra essere la moneta comune, che tuttavia sta formando stereotipizzazioni nazionalistiche, poiché i tedeschi cercano con ogni mezzo di scongiurare la possibilità che gli scellerati del Sud intaschino il denaro da loro guadagnato con fatica.
Ha senso una costruzione dell’Europa fondata solo su interesse esclusivamente economico piuttosto che politico? È possibile trovare un equilibrio tra le richieste contraddittorie dell’unificazione politico economica e quelle di creazione di particolarismi? Ha senso omogeneizzare le culture degli Stati del Sud accostandole alla visione dell’Europa del Nord?
“L’idea di Europa s’intreccia con le dottrine e la storia della cristianità occidentale. La nostra architettura, l’arte, la letteratura il pensiero filosofico, sono impregnati di valori e di elementi cristiani”. (George Steiner). Si è voluta costruire un’Europa economica, piuttosto che una unione, condivisione e rispetto di elementi culturali, religiosi, e storici differenti. Riempire solamente di economia e finanza l’esistenza dei cittadini europei risulta essere assolutamente triviale, che svuota completamente il senso della costruzione europea dei nostri padri fondatori. Soluzioni per un bene comune europeo sembrano lontane e dunque quale alternativa a tale problema?
Parlando proprio di differenti velocità culturali europee, nel giugno scorso scrissi un articolo prendendo spunto dalle riflessioni del filosofo francese Kojève che nel 1947, pubblicò un testo dal titolo “L’impero Latino”, in cui affermava (visionariamente), che la Germania sarebbe diventata in pochi anni la principale potenza economica europea riducendo la Francia a mera potenza secondaria all’interno dell’ Europa continentale.
Kojève proponeva alla Francia di porsi alla guida di un “impero latino”, che avrebbe unito a livello economico e politico le tre grandi nazioni latine (Francia, Spagna e Italia), in accordo con la Chiesa cattolica. La Germania più protestante, che sarebbe presto diventata la nazione più ricca e potente in Europa, sarebbe stata allora attratta inesorabilmente dalla sua “vocazione extraeuropea” verso le forme dell’ impero anglosassone (Stati Uniti Inghilterra).
Forse sono solamente sogni, imperdonabilmente ingenui. Forse ci sono obiettivi più concreti di altri per i quali vale la pena riflettere ed impegnarsi. È urgente trovare soluzioni, perché gli Stati emergenti non stanno li a guardare e la frammentazione europea non è la soluzione ottimale per stare al passo con i tempi. Oggi più che mai il dialogo tra i paesi latini sembra essere una strada alternativa perseguibile almeno per unire i destini comuni e cercare di imporre ai paesi del Nord una differente idea di Europa, non fondata solamente sul rigore economico, ma una visione che incorpori valori etici quali il lavoro, la protezione dei meno abbienti e lo sviluppo culturale ed economico dei Paesi. Forse quest’idea ha più una connotazione da romanzo distopico. Ma in questo mare magnum di continue divergenze d’interessi, culturali ed ideologici, mi auguro solamente di non assistere alla completa perdita di speranza e voglia di credere in un futuro migliore dei miei concittadini europei.