Sul “Fatto Quotidiano” – con grande soddisfazione, se non esultanza – si dà la notizia che il Comitato europeo per i diritti sociali del Consiglio d’Europa avrebbe giudicato “ricevibile” l´istanza dell´ONG International Planned Parenthood Federation European Network che denuncia il fatto che, in Italia, il 70% dei ginecologi rifiuta di praticare l´interruzione di gravidanza.
“L’Ippf En sostiene nel ricorso che la violazione della Carta sociale è dovuta all’articolo 9 della legge, che nel regolare l’obiezione di coscienza degli operatori sanitari non indica le misure concrete che gli ospedali e le Regioni devono attuare per garantire un’adeguata presenza di personale non obiettore in tutte le strutture sanitarie pubbliche, in modo da assicurare l’accesso alla procedure per l’interruzione di gravidanza. Il numero insufficiente di medici non obiettori, soprattutto in alcune regioni, mina il diritto delle donne alla salute e discrimina quelle che per motivi finanziari non possono recarsi in un’altra regione o in strutture private. Del resto, che l’obiezione di coscienza sia un fenomeno in continua crescita in Italia, lo confermano anche i dati dell’ultima relazione al Parlamento del ministero della Salute sulla legge 194. Tra i ginecologi si è passati da un tasso di obiezione del 58,7 per cento del 2005 al 70 per cento circa del 2010, tra gli anestesisti dal 45,7 per cento al 50,8 per cento, e tra il personale non medico dal 38,6 per cento del 2005 al 44,7 per cento del 2010. Al sud si raggiungono picchi tra i ginecologi superiori all’80 per cento: è il caso di Basilicata (85,2 per cento), Campania (83,9 per cento), Molise (85,7 per cento), e Sicilia (80,6 per cento)”.
Dinanzi a percentuali così rilevanti di operatori sanitari che si rifiutano di praticare interventi abortivi, mi chiedo se – ancor prima o quantomeno unitamente alla rivendicazione del diritto della donna ad essere adeguatamente assistita – non si dovrebbe promuovere una pubblica riflessione sulle ragioni per le quali l’obiezione di coscienza sia così diffusa propria tra loro che hanno le conoscenze e l’esperienza di vita e professionale per comprendere, nella sua pienezza, la portata e il valore dell’intervento abortivo (aml)