Obama non ha lune di miele di fronte. Anzi, un passo falso lo spingerebbe direttamente nel baratro fiscale, mentre il tasso di disoccupazione migliora ma continua a restare a livelli d´allarme. Ma il presidente democratico non può permettersi di concentrare il suo sguardo solo sulla politica interna. Una presenza forte di Obama è necessaria anche Oltreoceano, per evitare che la crisi dell´Eurozona soffochi l´economia americana proprio quando questa accenna la sua prima ripresa dalla crisi del 2008.
Il rapporto con l´Eurozona
Secondo Domenico Lombardi, esperto di economia internazionale, presidente dell´ Oxford Institute for Economic Policy e Senior Fellow alla Brookings Institution, “l´amministrazione Obama ha individuato sin dall´inizio il carattere potenzialmente sistemico della crisi dell´euro, ben prima che esso diventasse chiaro agli stessi europei. A fronte di una sofisticata capacità di analisi, tuttavia, l´amministrazione non è riuscita a tradurla in una capacità di leadership, lasciando che l´Eurozona si appiattisse sui diktat di Berlino che, ora è diventato ormai chiaro a tutti, stanno creando danni alla stessa economia tedesca e all´economia mondiale nel suo complesso. La sensazione – prosegue Lombardi – è che Obama diventi un po´ più assertivo e pugnace, spingendo l´Eurozona su un percorso più equilibrato di consolidamento fiscale ma anche di crescita”. Questo è, peraltro, “l´approccio che Mario Monti sta cercando di far prevalere nell´Eurozona”. Il prossimo consolidamento fiscale – secondo Lombardi – richiede la messa in sicurezza delle fonti di domanda estera affinché i produttori americani possano compensare con maggiori esportazioni l´inevitabile caldo di domanda interna”.
Il problema dell´occupazione negli Usa
Il destino dell´Eurozona ha implicazioni dirette sull´occupazione americana. Lombardi spiega che “nel mese di ottobre è aumentata la creazione di nuovi posti di lavoro rimanendo, comunque, sempre al di sotto della soglia necessaria a riassorbire la sacca di disoccupazione che si è creata in seguito alla crisi. Fin quando la disoccupazione non si ridurrà a livelli socialmente e politicamente accettabili, permarrà un nervosismo da parte della Fed e, con esso, il suo incessante attivismo. In questo quadro, i rapporti con i Paesi emergenti sono una considerazione di secondo ordine. A Washington come altrove, le preoccupazioni domestiche prevalgono su quelle internazionali”.
Il successo delle politiche obamiane
Ma i dati in miglioramento sull´occupazione sbandierati da Obama durante la campagna elettorale possono considerarsi davvero una dimostrazione del successo delle sue politiche? Secondo Lombardi “in effetti, vi era molta incertezza su che dati sarebbero emersi. Gli ultimi dati sull´occupazione sembrano confermare un consolidamento della ripresa che, però, attestandosi su una crescita del 2 per cento, non è ancora sufficiente a stabilizzare e tranquillizzare il pubblico americano e, quindi, la politica. L´amministrazione ha dispiegato tutti gli strumenti a sua disposizione, peraltro in continuità con l’allora uscente presidenza Bush”. Un altro presidente, per l’analista di Brookings, “avrebbe probabilmente intrapreso azioni analoghe: la stabilità della società americana richiede una crescita sostenuta della sua economia, il resto sono chiacchiere”.
La frammentazione politica interna
I punti di criticità americani sembrano però essere emersi proprio al momento del voto. “Il paese – osserva l´esperto – continua a essere diviso come testimonia la frammentazione del congresso americano con la Camera bassa che rimane in mano repubblicana e il Senato che si riconferma a maggioranza democratica. Di conseguenza, il presidente dovrà negoziare ogni provvedimento legislativo con entrambi i partiti, il che crea non poche incertezze su quella che, realisticamente, potrà essere l´efficacia del suo secondo mandato”.
Ma le elezioni hanno decretato non solo la crisi della stabilità politica in generale. “Negli Stati Uniti – sottolinea l´analista di Brookings – chi esce sconfitto si ritira e così farà Mitt Romney, a differenza di quanto accade in Italia. Queste elezioni hanno sancito non solo la sconfitta del candidato repubblicano, ma la crisi profonda in cui versa l´intero partito. Da questo momento – dichiara Lombardi – comincerà un´introspezione che dovrà definire una nuova, moderna identità per questo partito e le modalità con cui intende rapportarsi alle minoranze, alle donne e ai giovani. La tradizionale roccaforte elettorale del partito repubblicano, fatta di conservatori Wasp, si sta inesorabilmente assottigliando mentre i democratici sono stati particolarmente efficaci nel mobilizzare il consenso dei gruppi ispanici, afro-americani, nonché delle donne e dei giovani”.
Il fallimento di Romney
Più che del successo di Obama, si può parlare quindi di fallimento del candidato repubblicano? “Romney – risponde Lombardi – non è riuscito a formulare un messaggio convincente e a capitalizzare sulle difficoltà della seconda fase della presidenza Obama. Soprattutto, ha suscitato poca empatia: le sue note gaffes nascono dalla sua intrinseca difficoltà a rapportarsi all´elettore mediano che è quello che decide l´esito delle elezioni. Ciò nonostante – sottolinea – ha costituito una seria minaccia per la rielezione di Obama, confermando che il paese rimane diviso su questo presidente, a prescindere dal suo avversario politico”.
Lune di miele?
Comunque per il presidente rieletto “non vi sara´ alcuna luna di miele. A differenza dei suoi predecessori – osserva – Obama deve affrontare una situazione inedita: concordare con i repubblicani un piano di rientro dal deficit entro dicembre per evitare l´automatica introduzione di incrementi di imposta e tagli alla spesa che abbatterebbero sì il deficit di 4 punti percentuali ma porterebbero l´America in recessione e destabilizzerebbero l´economia mondiale”.
Una sintesi bipartisan
“Per fare questo – spiega Lombardi – deve riuscire a formulare un piano che sia una sintesi credibile delle priorità repubblicane, semplificazione e alleggerimento del fisco per ridare slancio alla crescita, e quelle democratiche, protezione delle spesa sociale per le categorie più deboli perché i benefici della crescita siano distribuiti in modo più equilibrato, una sorta di quadratura del cerchio”, conclude Lombardi.