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La logica oscura delle strette intese

Sostenere che le strette intese assicurano al governo Letta un avvenire più radioso e meno breve di quello offerto dalle larghe intese, risponde ad una logica che francamente mi torna oscura. Tanto più che i governativisti del centrodestra appena presentato al paese attraverso una scissione hanno mantenuto le loro posizioni ministeriali ma non per questo si sono rafforzati con proposte politiche innovative, essendo la loro linea di distinzione esclusivamente fondata sulla più opportuna stabilità di un governo in un momento di crisi economica ancora pressante. Per cercare di non arretrare economicamente, è più utile cercare di aumentare i consensi, non di diminuirli. Tanto più che ciò che va accadendo all’interno del Pd non va nella direzione di un rafforzamento di Letta ma tende a condizionarne il futuro, a minare la linea direttiva intrinseca nelle larghe intese e, onde trarre maggiori consensi dall’area della protesta grillina e vendoliana, estremizza e mobilita la base piddina più in senso anti- che filo-governativo.

Diciamo la verità. È in corso in tutto lo schieramento politico-parlamentare una burrasca che alimenta una forte domanda di cambiamento di classe dirigente. È nella natura degli uomini – e non soltanto in quelli impegnati in politica – che ciò accade. Ma, da solo, il giovanilismo non indica una prospettiva di progresso se non è accompagnato da visioni e da proposte politiche innovative, comprensibili senza miliardi di parole al vento. In breve, tutto ha senso se ci si propone come portatori di una alternativa politica vera, chiara, motivata da volontà di coinvolgimento delle altre leve e veramente distinguibile: per forma e per contenuti.

Frantumare od escludere non fanno una politica, men che mai nuova. Distruggono e disaffezionano: specie se l’oggetto della contesa non sia un domani più solido, ma la difesa di un governo che traballa non solo per le condizioni esterne e non innova nei settori più delicati: la difesa dell’interesse nazionale dinanzi alla pretesa degli euroburocrati e dell’economia germanica; una crisi occupazionale e di imprese che continuano a chiudere; una fiscalità che continua a salire anche se qualche contabile furbetto cerca di occultarla; l’urgenza di una legge elettorale equa e condivisa e non a misura delle convenienze di uno schieramento; una giustizia ingiusta e prepotente non perché lo lamenti Berlusconi, ma in quanto è una amara realtà nazionale che inutilmente l’Europa politica (e non quella tecnocratica) continua a sollecitare di correggere radicalmente. Tutto ciò si fronteggia meglio con strette che con larghe intese? Non mi sembra.

 



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