Siccome di rado impariamo dai nostri errori, specie quando sono remunerativi, tendiamo a ripeterli.
Siccome abbiamo la memoria corta, neanche ce ne accorgiamo.
Finchè non è troppo tardi.
Nel mio piccolo mi sembrava giusto, di conseguenza, farvi sapere, visto che ormai l’argomento è stranoto fra regolatori e istituzioni internazionali, che la finanza immobiliare made in Usa, con tutto il suo contorno di cartolarizzazioni e derivati, è tornata ad essere un rilevante rischio sistemico per la stabilità finanziaria internazionale.
Oggi, come nel 2007, gli investimenti sul mattone di carta garantiscono rendimenti stellari, anche fino al 15%, secondo il WsJ, trascurando, allora come oggi, che un tale rendimento porta con sé un rischio equivalente.
L’unica differenza fra ieri e oggi è che all’epoca dello sboom americano, che poi contagiò il resto del mondo, erano in gran parte le banche le dirette protagoniste del ballo del mattone finanziario.
Oggi sono altre entità, società finanziarie di quello shadow banking che tanto preoccupa i regolatori, che sostanzialmente replicano (con il sussidio delle banche, a cominciare dalla Fed e a finire da quelle di investimento) quello che facevano le stesse banche prima della grande crisi. Ossia prendono in prestito a breve termine per finanziare l’acquisto di obbligazioni a lungo termine, quindi molto remunerative, che hanno come sottostante mututi immobiliari.
Over and over, again.
Di questa simpatica deriva mi sono accorto leggendo l’ultimo Financial stability review rilasciato pochi giorni fa dalla Bce.
La nostra banca centrale, dopo aver ricordato la mole di rischi addensati sul capo dell’eurozona, rileva a un certo punto che “tuttavia, al contrario dell’anno scorso, i rischi macro-finanziari che corre la stabilità dell’eurozona sono originati fuori dall’area”.
Non sto a farvi l’elenco. Magari ne riparleremo. Qui mi limito a raccontarvene uno, che mi ha molto divertito.
“Negli Stati Uniti – scrive la Bce – un rischio alla stabilità finanziaria è legato alla rapida espansione dei Mortgage real estate investment trusts (Mreits), che sono vulnerabili alla crescita dei tassi d’interesse a causa della loro dipendenza verso i prestiti a breve termine per finanziare i loro acquisti di Mortgage backed security (Mbs). Una brusca svendita di Mbs, dovuta a un rialzo dei tassi, può esporre le banche a un calo del valore degli Mbs detenuti”.
In sostanza, la stessa storia del 2007. Con l’aggravante che il rischio tassi d’interessi, ossia di un loro aumento, è qualcosa di più di una semplice probabilità, in tempi di exit strategy e di rallentamento annunciato (e subito ritrattato perché catastrofico) di rallentamento, da parte della Fed, del programma di acquisto mensile di titoli cartolarizzati. Che poi sono proprio quegli stessi Mbs sui quali si concentra l’attenzione degli Mreits.
Un corto circuito perfetto: la Fed sostiene un mercato (quello degli Mbs) che tiene in vita, grazie ai tassi bassi sempre voluti dalla Fed, queste società d’investimento che emettono debito (sotto forma di obbligazioni proprie a breve termine garantite dalle banche, spesso collegate a tali società, che le vendono) per comprare debito altrui sotto forma di mutui a lungo termine più o meno cartolarizzati (Mbs).
Il guadagno lo ricavano dalla differenza (spread) fra il rendimento dei titoli che comprano a lungo e il costo dei titoli che emettono a breve. Quelli bravi lo chiamano ROIC (return on invested capital).
Facile come fare due più due.
Tuttavia può essere utile fare un passo indietro.
Cominciamo da una definizione. Un Mreits è una società che investe in mutui residenziali. Una sorta di fondo comune di investimento.
Questa società prende a prestito soldi e con questi fondi compra mutui che vengono impacchettati in Mbs, ossia un’altra obbligazione, che ha un rendimento e una durata. Più è lunga la durata, più è alto il rendimento. La sostenibilità di questa obbligazione, e quindi la sua capacità di essere ripagata alla scadenza, dipende dai mutui che ha sotto.
Vi ricordate i famosi subprime? Ricorderete allora che erano impacchettati in Mbs e Cdo (collateralized debt obligation).
A differenza dei Reits (real estate investment trust) i Mreits non hanno quindi mattone reale sotto i loro investimenti, ma carta.
Soltanto quella.
La tassonomia finanziaria distingue i Mreits in due tipi: quelle che lavorano con gli agency loans e quelle che lavorano con i non agency loan.
I primi lavorano con debito garantito da entità governative, come Fannie Mae o Freddie Mac (le stesse che hanno collassato causa subprime). Poiché hanno la garanzie implicita del Tesoro, questi debiti hanno un rating di credito assimilato a quelli dei bond americani e quindi un rendimento basso.
I secondi (non agency) lavorano con debito “privato”, ossia senza garanzia governativa. Ovviamente, essendo meno garantiti, e quindi più rischiosi, queste debiti devono offrire un tasso più alto agli investitori per incoraggiarli a comprare le loro obbligazioni.
Ciò costringe gli emittenti a spingere sul pedale della leva finanziaria per ottenere un maggior ROIC, aumentando di conseguenza a loro volta i rischi.
Ovviamente lo stesso vale per il Mreits che usa questi asset.
Dopo la crisi, che evidentemente non ha insegnato nulla, queste entità sono letteralmente esplose per numero. La maggior parte stanno negli Usa. Ma ce ne sono anche alcune tedesche.
E così, nell’aprile scorso, i Mreits finirono nel mirino del FSOC, il Financial stability oversight council, un gruppo di regolatori costituiti in seno al Tesoro americano, che se ne sono occupati nell’ultimo annual report.
I tecnici notarono con preoccupazione che queste società di investimento avevano quadruplicato i propri asset fino a più di 400 miliardi dal 2009 in poi.
Secondo Fitch, che al tema ha dedicato un approfondimento nel giugno scorso, l’esposizione di questi veicoli nei confronti degli Mbs sarebbe addirittura di oltre 460 miliardi di dollari. Ma soprattutto è cresciuta enormemente la loro rilevanza sistemica.
Tanto è vero che la Reuters ha rilanciato la notizia pubblicata da Financial Times il 27 ottobre scorso, secondo il quale i Mreit sono finiti anche nel mirino dei regolatori della Fed di New York, dopo che, un mese prima, il Fondo monetario internazionali li aveva classificati come una delle componenti crescenti dello shadow banking.
Il problema è che il debito a breve dei Mreits, sponsorizzato dalle banche rivenditrici, si inserisce nel più vasto mercato dei repo, ossia dei pronti contro termine, che muove circa 4,5 trilioni di dollari.
Un’improvvisa svendita di Mbs, seguita magari a un rialzo dei tassi, può perciò avere conseguenze devastanti proprio per questo mercato, che è vitale per il funzionamento delle grandi banche, che vi si rivolgono per il proprio funding, ponendo come pegno i propri Mbs e altri titoli.
Una turbolenza nel mercato repo avrebbe lo stesso effetto, se non peggiore, di quella registrata nel mercato della carta commerciale agli albori della crisi del 2007.
Dal canto loro, i tifosi dei Mreits sottolineano che il loro lavoro ha contribuito a rilanciare il mercato immobiliare americano, favorendo la domanda di mutui a basso prezzo e, di conseguenza, la domanda di mattone. E infatti i prezzi in America hanno ripreso a salire.
Sempre per non dimenticare i subprime.
Tanto sarebbe bastato ai regolatori della Fed di New York per decidere di vederci chiaro.
Per la cronaca, la Fed di New York è una filiale della stessa Fed che ha contribuito (e contribuisce tuttora) a far crescere le Mreits e il mercato degli Mbs.
Fare pace col cervello no?