Anch’io ho votato Renzi sperando che sia, sebbene da lontano, un nuovo Tony Blair, con scrive Bill Emmot sul Financial Times. Vedremo. Come Blair anche lui è appoggiato da poteri forti trasversali: da Diego Della Valle a Renzo Rosso e non è solo moda se davvero anche Guerra di Luxottica e Greco di Generali vedono con favore il cambio di stagione.
APERTURE DI CREDITO
L’editoriale della Stampa firmato dal suo direttore è un’apertura di credito che viene anche da John Elkann. Come Blair, ha scelto una squadra tutta nuova. deve stare attento a non circondarsi di cloni giovanilistici. Blair faceva coppia con Gordon Brown che più diverso non si può, ma gli ha garantito un solido governo dell’economia. Le differenze sono molte, a cominciare dalla selezione del nuovo gruppo dirigente. Blair fu sostenuto da Smith, il vero innovatore del Labour party morto d’infarto prima di cogliere i frutti del rinnovamento. Renzi s’è fatto strada a forza di rottamazioni dentro un gruppo dirigente del Pd che sembrava una foresta pietrificata. Ma la differenza di fondo è un’altra.
L’ESEMPIO DI BLAIR
Per vincere nel partito laburista bisognava avere il viatico delle Trade Unions delle quali il partito è stato, storicamente, filiazione (anche economica perché sono i sindacati che pagano). Blair ha saputo sfidare i vecchi elefanti del laburismo sindacale (non solo la sinistra radicale) interrompendo in modo chiaro il potere di veto sulla linea e sui vertici. È questo il lascito più importante della Third Way. La vulgata sostiene che tutto ciò è stato favorito dal thatcherismo, ma le cose sono molto più sfumate perché la sconfitta dei minatori e dell’ala militante non ha portato con sé un crollo secco della Unions e tanto meno ha ridotto la loro presa sul partito. Al contrario, sembrava che la radicalizzazione anti-liberista provocasse un inevitabile spostamento a sinistra. Sono stati John Smith, Blair e Brown (la trojka scozzese) a capire, sia pur con sfumatore diverse, che la chiave del successo era la conquista dei votanti moderati, la cosiddetta corsa al centro che non ha cannibalizzato i liberal-democratici, al contrario.
IL RAPPORTO CON LA CGIL
Tornando al nostro cortile di casa, la prova del nove anche per Renzi sarà il rapporto con la Cgil. Susanna Camusso è contro di lui, ancor di più la Fiom di Maurizio Landini. Ma il problema non è solo questo, altrimenti resteremmo dentro una “narrazione” (come direbbe Nichi Vendola) tutta interna alla sinistra che non interessa al resto del paese. Il nuovo capo del Pd, invece, è chiamato a dimostrare di essere in grado di rompere il vecchio schema corporativo che vede sindacati e confindustria alleati di fatto per ottenere benefici dal governo (cioè dai contribuenti). E dovrà sfidare entrambi per far passare una riforma del mercato del lavoro e del welfare state. Nonostante quel che si dice, infatti, i padroni sono i più grandi difensori dello status quo.
UNA SQUADRA GIOVANE (E COMPETENTE?)
Vedremo. La giovane squadra che si è scelto non promette grandi rotture. All’economia c’è Filippo Taddei professore alla Johns Hopkins che mette le tasse sui lavoratori dipendenti al primo posto, ma glissa sul resto. Al lavoro c’è Marianna Madia che non sembra una giuslavorista e che, da veltroniana d’antan, parla di posti per i giovani, ma senza menzionare la necessità di cambiare le norme, contenute nello Statuto dei lavoratori che è una legge vecchia per i vecchi.
ASPETTANDO LA RENZINOMICS
Aspettiamo, naturalmente, prima di criticare. Tuttavia, Yoram Gutgeld considerato il vero ispiratore della Renzinomics, nell’incontro di giovedì scorso organizzato a Roma da Formiche, ha parlato di “un contratto di lavoro stabile senza l’articolo 18”, perché la rigidità in uscita rappresenta l’ostacolo principale all’assunzione dei giovani. E ha detto: “Renzi lo sa e ne farà un punto qualificante del suo programma”. Interessante, anche se finora nessun altro lo ha fatto proprio. Wait and see. Ma questa volta non basterà stare a guardare. Se anche Renzi si dimostra un vincitore di panna montata, allora non resta che cambiare spalla al fucile e aderire (a seconda dei gusti e sempre che ci vogliano) ala federazione tedesca o a quella americana.
(l’analisi integrale si può leggere su www.cingolo.it)