Se sia nato prima l’uovo o la gallina è questione antica, e probabilmente irrisolvibile. Fuor di metafora, ci sarebbe da capire se la brutta piega che la legge elettorale ha preso nei giorni scorsi sia figlia di un eccesso di rigidità da parte del Pd oppure di un eccesso di disinvoltura da parte di tutti gli altri.
La mia opinione è che l’uovo e la gallina, per così dire, si tengono. E cioè che il Pd abbia sbagliato a presentarsi a questo appuntamento solo in compagnia delle forze di sinistra, ingenerando forse – forse – un equivoco sulla natura della sua politica e della sua coalizione. E che gli altri, la vecchia maggioranza che si affidò al talento istituzionale di Calderoli nel 2005, abbiano rivelato una volta di più di avere un senso dello stato pari a zero. Cosa che è, se vogliamo, leggermente più grave. Diceva Hegel che le tragedie della storia mondiale nascono quando sono in conflitto due ragioni. In questo caso temo che abbiamo a che fare con due torti. Il torto politico di Bersani di essersi lasciato chiudere in una ridotta di sinistra.
E il torto istituzionale (e strategico) di Casini di avere riesumato nel primo passaggio sulla legge elettorale la triste compagnia di due legislature fa. Ora è chiaro che noi dovremo cercare di uscire dall’angolo. E soprattutto dovremo evitare di apparire troppo votati alle dubbie convenienze che il Porcellum sembra offrire. Questo richiede una discreta flessibilità, s’intende, e perfino un certo uso di mondo. Ma è almeno altrettanto chiaro che non possiamo nutrire nessuna indulgenza verso l’ennesimo tentativo di scrivere le regole elettorali sotto la dettatura dello spirito di parte. Andò così nel 2005 e la ferita, lo abbiamo visto, non s’è ancora richiusa.
All’epoca il centrodestra si presentò come una sorta di falange macedone, unita e compatta nel riscrivere la legge a proprio uso e consumo. Ma il centrosinistra, a sua volta, fece urnopposizione quasi di facciata. Il risultato è la legge elettorale che abbiamo, esibita con orgoglio vanitoso dal suo amanuense e rigettata con molta sdegno (ma con nessuna autocritica) dai suoi ispiratori. Del resto, quando si fanno le regole a maggioranza, gli esiti possibili sono due: o la rissa o la palude. E in questo caso, e in quello che ora minaccia di fargli seguito, i due esiti potrebbero sommarsi l’uno sull’altro. Peraltro ho qualche dubbio che la contabilità dei reciproci vantaggi sia così accurata come la si immagina. Essa infatti presuppone che gli elettori stiano fermi lì, dove l’ultima rilevazione li ha immortalati. Fermi lì e pronti a ripetere nell’urna le scelte che hanno appena confidato al sondaggista di turno che li ha appena interpellati. Cosa che non credo affatto.
La realtà è che noi siamo dentro una turbolenza quasi epocale. E scommettere sul fatto che le opzioni di voto siano già defmite, o quasi, e che si tratti solo di confermarle tra un comizio e l’altro mi sembra un vero e proprio azzardo. Per questo chiederei ai protagonisti di questa disfida di pigiare il tasto rewind, e immaginare uríaltra sceneggiatura. Non perché mi faccia grandi illusioni sul soffio vitale dello spirito costituente. Ma più prosaicamente perché sono convinto che i calcoli che si stanno facendo siano quasi tutti piuttosto fasulli. A parte quelli di Grillo, s’intende, che rischiano invece di rivelarsi pericolosamente accurati.
Dal quotidiano Europa