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I malinconici riti della legge di Stabilità

Grazie all’autorizzazione del gruppo Class editori pubblichiamo il commento di Marco Bertoncini apparso su Italia Oggi il quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

La chiamavano legge finanziaria, oggi è definita legge di Stabilità. Era approvata da maggioranze di centrosinistra, di centrodestra, di larghe intese, oggi la vota un’alleanza male assortita, priva persino di una univoca etichetta politica. Nulla, però, cambia.

I RITI DELL’ANNO

Così, anche quest’anno assistiamo ai consueti riti. Il testo licenziato dal governo diventa irriconoscibile quando approda sulla Gazzetta Ufficiale. Per evitare un eccesso d’incidenti parlamentari si fa ricorso alla fiducia, anche più volte, con il deleterio sistema degli emendamenti. Gli articoli si riducono a stare in una mano sola, mentre i commi si dilatano a centinaia. La stesura è caotica, raffazzonata, frutto di compromessi raggiunti in extremis e quindi stesi alla «come va, va». I riferimenti a precedenti leggi si rincorrono, così da renderne impossibile la comprensione. La chiarezza è assente, mentre arduo è decifrare la volontà del legislatore: disposizioni comparse dal nulla faranno impazzire schiere di legulei, magistrati, interpreti, tutti protesi a indovinare quel che l’impazzito potere legislativo avrebbe voluto asserire.

LE TRATTATIVE

Sul piano politico, si è assistito alle consolidate trattative, condotte nelle commissioni bilancio, sovente dopo ore di riunione, fra membri del governo, relatori, qualche parlamentare più attento e più solerte. Tu aiuti la mia orchestra, io sostengo la tua associazione. La mancia serve a tutti. Bisogna arraffare il più possibile, in attesa che arrivi la mannaia della fiducia governativa.

UNA CURIOSITA’

Quasi l’intero mondo politico si dice ostile al bicameralismo perfetto. Come mai, però, si contano a centinaia, non a semplici decine, le modificazioni apportate dalla seconda camera al testo uscito dalla prima?



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