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Gli auguri urticanti a Letta

I rischi dai quali si dovrà guardare nel 2014 il presidente del Consiglio Enrico Letta non sono soltanto quelli riconducibili alle ambizioni e ai metodi un po’ troppo spicci dell’aspirante non certo nascosto alla sua successione. Che è naturalmente Matteo Renzi.

E’ rischioso per il capo del governo anche inseguire il suo collega e neo-segretario di partito su certi terreni scivolosi di effimera propaganda. Come l’enfatizzazzione della “svolta generazionale” dei quarantenni alla quale il capo del governo ha ceduto nella sua conferenza stampa natalizia, come se bastasse –ahimè- l’anagrafe a segnare anche in politica il confine fra il vecchio e il nuovo. Come se a quarant’anni di età, poco meno o poco più, si fosse destinati necessariamente a fare di più e di meglio di altri incorsi nell’inconveniente di essere nati prima. Come se il destino dei giovani non fosse quello di invecchiare pure loro. Come se le sorti della Repubblica nata più di 65 anni fa, e passata per le mani e per la testa di undici presidenti, compreso il primo che fu soltanto “capo provvisorio” dello Stato dopo la caduta referendaria della Monarchia, non dipendessero oggi anche, se non soprattutto, dalla capacità di tenuta morale, politica e persino fisica di un uomo che naviga verso i novant’anni: Giorgio Napolitano.

In una situazione del genere suona obbiettivamente eccessiva la svolta generazionale rivendicata o esaltata anche dal presidente del Consiglio. Che peraltro ha avuto appena bisogno dei richiami dell’anziano presidente della Repubblica anche per accorgersi del vicolo cieco in cui era finito in Parlamento con un decreto legge, quello cosiddetto “Salva Roma”, insaccato come un salame, e per rinunciare alla sua conversione ormai minacciata da un ostruzionismo trasversale. Una rinuncia, poi, per modo di dire, a vantaggio di un altro insaccato: l’ormai solito decreto legge di “mille proroghe” che segna la fine d’anno.

Questa storia dei quarantenni di per sé salvifici non convince neppure con i richiami all’esperienza di altri – da Amintore Fanfani ad Aldo Moro, i due famosi “cavalli di razza della Dc – evocati da Enrico Letta come campioni della ricostruzione dell’Italia dopo il disastro materiale, politico e morale della seconda guerra mondiale. Quei quarantenni, con tutto il rispetto che merita il loro ricordo, non avrebbero saputo e potuto ricostruire un bel niente se non fossero stati preceduti da un tale di nome Alcide De Gasperi, approdato nel 1946 alla guida del governo all’età di 64 anni: all’incirca la stessa che certo giovanilismo d’accatto oggi considera adatta alla rottamazione.

L’augurio urticante che, a questo punto, si dovrebbe fare a Letta sulla soglia del 2014 non è solo o tanto di concludere anche l’anno nuovo a Palazzo Chigi, dove egli ha già ottimisticamente prenotato il panettone compiacendosi con i dipendenti di quello appena mangiato o offerto, quanto di arrivarvi in condizioni migliori di quelle alquanto precarie di ora. Di arrivarvi, in particolare, dopo una fruttuosa presidenza di turno del semestre europeo spettante all’Italia nella seconda metà dell’anno, e con una legge di cosiddetta stabilità finanziaria un po’ meno pasticciata e ingannevole –sì, ingannevole- di quella appena imposta alle Camere con i soliti maxiemendamenti e voti di fiducia.

E’ una legge, quella di stabilità per il 2014, in cui si è dovuto fingere, per esempio, un aumento di poco più di dieci euro lordi al mese delle pensioni e l’istituzione di un fantomatico fondo della povertà, sempre pensionistica, per cercare di proteggere da una bocciatura della Corte Costituzionale gli aspetti più demagogici, come il blocco della perequazioni e l’ennesimo ossimoro del prelievo obbligatorio di “solidarietà” dalle pensioni sopra i 90 mila euro lordi l’anno, definite d’oro tout court. E perciò indicate al disprezzo e alla insostenibilità sociale, per quanto legittimamente maturate.

Non si era francamente mai vista una dichiarata volontà di aggirare con espedienti il rispetto delle leggi e dei principi costituzionali. Per quanto prodotto da condizioni di emergenza politica, il governo non dovrebbe abusarne.


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