Venti anni fa Silvio Berlusconi si divideva in questi giorni fra la preparazione della solita cena di Capodanno con la cerchia più stretta degli amici e la messa a punto di quei nove minuti di messaggio televisivo che ne avrebbero segnato il 26 gennaio 1994 la “discesa” in campo politico.
A dispetto delle apparenti incertezze, tutto si era ormai consumato più o meno dietro le quinte: anche i contrasti fra i più stretti collaboratori del Cavaliere, preoccupati per le possibili ritorsioni contro le sue aziende da parte della sinistra. Che già rimproverava al gruppo del Biscione di essere cresciuto con l’appoggio di partiti e leader, a cominciare da Bettino Craxi, nel frattempo travolti giudiziariamente.
Ma più ancora dei contrasti superati fra amici e collaboratori sulla opportunità di un suo impegno politico, erano arrivati da Umberto Bossi segnali rassicuranti sull’esito delle trattative fra Mario Segni e la Lega, temutissime da Berlusconi, per un’intesa elettorale che coinvolgesse i democristiani guidati da Mino Martinazzoli. Quando infatti l’accordo sembrò raggiunto, il 24 gennaio, Bossi ordinò clamorosamente al plenipotenziario leghista Roberto Maroni di “scansarsi” per lasciargli “sparare” la raffica del rifiuto.
Così il partito del Carroccio, che per la sua forza al Nord aveva le chiavi del risultato elettorale con il sistema dei collegi uninominali, si spostò su Berlusconi. Che, dal canto suo, aveva già agganciato la destra sponsorizzando pubblicamente, con un discorso di fine novembre 1993 a Casalecchio, la pur inutile scalata di Gianfranco Fini al Campidoglio, in competizione con Francesco Rutelli nel ballottaggio del 5 dicembre.
Maturò dunque in questi modi e tempi la clamorosa vittoria elettorale di Berlusconi del 27 e 28 marzo 1994 contro la “gioiosa macchina da guerra” allestita dal segretario del Pds-ex Pci Achille Occhetto e l’ormai esangue area centrale rappresentata da Martinazzoli e Segni. Una vittoria, in verità, rivelatasi meno solida delle aspettative di Berlusconi, disarcionato da Bossi a Palazzo Chigi dopo pochi mesi, e in coincidenza con l’apertura di un’offensiva giudiziaria contro il Cavaliere, a Milano, destinata a durare per tutta la sua avventura politica. Ma Berlusconi sarebbe riuscito ancora una volta a sorprendere tutti, recuperando in pochi anni, e in modo stabile, l’alleanza con la Lega. Che lo avrebbe riportato alla guida del governo nel 2001 e nel 2008.
A distanza di vent’anni da quel fatidico 1994 Berlusconi è ancora più accerchiato di allora dagli avversari politici e da una magistratura che gli ha intentato una cinquantina di processi indicativi, per il loro stesso numero, di un pregiudizio o di qualcosa che molto gli assomiglia, sino a provocarne la decadenza da senatore dopo una condanna definitiva per frode fiscale, emessa peraltro ai limiti estremi della prescrizione. Ma, come vent’anni fa, egli appare attratto dalla stessa tentazione: quella di cavalcare a suo modo il nuovo. Sarebbe tuttavia azzardato l’augurio di riuscirvi daccapo perché il nuovo stavolta è troppo diverso. E a lui troppo ostile, per cui l’operazione potrebbe aggravarne il declino, anziché ridurlo.
Il nuovo stavolta non è la sua rifondata, appunto, Forza Italia e neppure la Lega, per quanto passata nelle mani del giovane Matteo Salvini. Il nuovo è costituito ora da Beppe Grillo e da Matteo Renzi, con i quali Berlusconi a ore o giorni alterni sembra disposto a trattare una riforma elettorale o altro ancora per accelerare la caduta dell’attuale governo. Alla cui nascita egli concorse in modo decisivo nella scorsa primavera, ma al quale non perdona di essere sopravvissuto alla propria decadenza da senatore, per giunta grazie alla rottura intervenuta fra lui e Angelino Alfano.
E’ un po’ troppo riduttivo come obbiettivo solo la caduta di un governo, a prescindere dagli uomini, dai partiti e dai mezzi che si adoperano, senza neppure la certezza di andare presto, come si vorrebbe dalle parti di Berlusconi, ad un nuovo e auspicabilmente risolutivo turno anticipato di elezioni, vista la contrarietà arcinota del presidente della Repubblica a sciogliere le Camere prima del 2015.
Né l’ex premier può consentire ai propri interlocutori di trattarlo come un appestato. La capogruppo di Grillo al Senato Paola Taverna voleva addirittura “sputargli addosso”, come in una suburra, mentre ne reclamava la “cacciata” da Palazzo Madama. E la delegata di Renzi a negoziare sulle riforme, Maria Elena Boschi, che pure sembra avere riscosso l’interesse e la simpatia dell’ex premier quando l’ha vista comparire di più in televisione, ha appena dichiarato di voler trattare sì con Forza Italia ma non con Berlusconi. Che ha sbrigativamente declassato a “privato cittadino”. Eppure come capopartito non presente in Parlamento Berlusconi è in buona compagnia, essendone fuori anche Grillo e Renzi. Il quale non può pensare, come ha appena annunciato alla Stampa, di voler “mandare un messaggio chiaro a Berlusconi”, evidentemente attraverso qualcun altro di Forza Italia, senza scomodarsi e impegnarsi di persona. E parlandone sfottendolo come un ormai ex leader in procinto di finire “ai servizi sociali”.
Francesco Damato