Non pochi operatori mediatici hanno il vizietto di battezzare come antipolitica tutto ciò che non garba loro e non corrisponde ad una visione political correct (cioè sgrammaticata) della realtà. Quando insorge un movimento di protesta generalizzata, come recentemente quella dei forconi, ridimensionatosi (ma non afflosciatosi) dopo l’azzardosa marcia su Roma di una delle sue componenti più deboli e meno rappresentative, si è evocato il pericolo di un imminente assalto della antipolitica al potere. Ovviamente non s’era capito niente di quella protesta, non solo antifiscale ma espressiva di un diffuso disagio sociale cresciuto con la progressiva diminuzione del valore reale dell’euro nel nostro paese. Definire antipolitica una rivolta morale e non violenta serviva solo a salvare l’anima dei giornalisti superficiali e dei governanti disattenti nella lettura della realtà sociale post-Monti, che prosegue imperterrita.
Ma si esagera anche a chiamare antipolitico un partito, come quello guidato da Berlusconi, in vita da un ventennio, con un seguito popolare straordinario malgrado le disavventure giudiziarie, soltanto perché l’uomo di Arcore è solito criticare il teatrino della politica animato da una classe di potere che si considera eterna e contrasta quanti cerchino di innovare istituzioni e rapporti fra partiti. Ciò che particolarmente sconcerta è che, ad attestarsi su tale posizione acritica e superficiale sono gli stessi che hanno magari scritto dei libri sulla Casta, con presunte rivelazioni, gossip e malandrinate che palesemente manifestano un reale retropensiero antipolitico. Se tutto ciò che appare estraneo ai minuetti settecenteschi che ancora regolano la vita delle istituzioni, dovesse giudicarsi come antipolitico, l’Italia sarebbe composta da una stragrande maggioranza di antipolitici e da una modesta minoranza arroccata in una estrema resistenza per la conservazione dei propri privilegi. Quegli operatori mediatici neppure sono sfiorati dal dubbio di essere proprio loro i principali e incidenti collettori dell’antipolitica, i responsabili di cancellare anche la più onesta, tranquilla o propositiva innovazione istituzionale e costituzionale.
Se l’astensionismo ha raggiunto vette molto prossime al cinquanta per cento dell’elettorato, non piccole responsabilità l’hanno proprio quegli operatori mediatici che chiamano antipolitica l’insoddisfazione sociale, il rifiuto di una politica politicante, le nomenclature partitiche e sindacali che non sanno vivere senza clientele corporative impegnate a dissestare l’economia nazionale e a bloccare qualsivoglia disegno trasformatore. Così agendo, lor signori (come Fortebraccio definiva i politici che gli stavano antipatici ma anche quelli che non sapevano cogliere il disagio popolare) non si accorgono che finiscono con l’essere proprio essi i migliori propagandisti di un’antipolitica che, in realtà, è disaffezione, protesta, sollecitazione a fare posto a energie più fresche ma anche a quelle più esperte, senza il cui ricongiungimento il nostro futuro si fa sempre più buio.