Anno nuovo, app nuova. Parliamo di “Jelly” la neonata creatura dalle sembianze di una medusa partorita da Biz Stone, co-fondatore di Twitter, la cui identità è stata svelata qualche ora fa e che promette di mettere in crisi nientepopodimeno che “il” motore di ricerca di Google (che ormai ha sempre più nemici del calibro di Marissa Mayer).
“Jelly” è un servizio di social searching, sia in app che in sito, destinato ai possessori di dispositivi mobili che permette di porre domande su qualsiasi argomento e ricevere risposte, sfruttando il potere delle foto – vero must have di qualsiasi applicazione o piattaforma nata o “rinnovata” nell’anno appena concluso – e la rete delle proprie amicizie su Facebook e Twitter.
«Jelly cambia il modo in cui facciamo ricerche. Avere risposte dalle persone è molto diverso che averle da un algoritmo», spiega Biz Stone sul blog di “Jelly”, e cita anche una famosa frase di Albert Einstein, «l’informazione non è conoscenza, la sola fonte di conoscenza è l’esperienza».
Ok, possiamo anche apprezzare lo sforzo dialettico e l’operazione di marketing messa a punto da Mr. Stone, ma “Jelly” è, sinceramente, tutto fuorché incredibilmente innovativa. Dopo l’estenuante attesa di questi mesi per conoscerne le potenzialità (periodo durante il quale “Jelly” è stata sottoposta a un rodaggio invisibile) e un giro di finanziamenti fatti da nomi altisonanti (tipo Bono Vox degli U2 e l’ex vice presidente degli Stati Uniti Al Gore) le aspettative erano altine.
E invece, il co-founder di Twitter non ha mostrato particolare originalità, innanzitutto, nella scelta del nome di battesimo della sua start-up. Perché mai? Vi chiederete. E allora provate, tastiera alla mano, a cercare su Internet il sito dedicato all’app. Vi accorgerete che “Jelly”, che vuol dire letteralmente gelatina, è praticamente impossibile da rintracciare nel mare magnum dei risultati di ricerca. In secundis, il termine “Jelly” è già stato utilizzato proprio da Google per una delle versioni del sistema operativo Android, nello specifico “Jelly Bean” (gaffe o scelta ragionata? Bah.).
E poi veniamo alla “meccanica” dell’app. Anche qui nessuna novità di portata eccezionale. Il sistema del Question&Answer di “Jelly” non è affatto sconosciuto nel panorama internettiano, basti pensare a Quora, la rete sociale lanciata nel 2009 dedicata all’informazione, dove gli utenti possono pubblicare domande e risposte su qualunque argomento. O Yahoo! Answers, il servizio web messo a disposizione gratuitamente dalla Yahoo! Corporation che permette di inviare domande e ricevere risposte su ogni argomento dall’ormai lontano 2005. O, volendone citare altri, LinkedIn, Answerbag, Quag e Answers.com.
Sì, è vero, il cavallo di battaglia di “Jelly” sono le foto. Ma bisognerà capire quanto questo diverso (quanto poco nuovo) modo di scattare e condividere foto riuscirà a conquistare gli utenti, tanto da convincerli ad abbandonare l’amatissimo Instagram (che conta ad oggi 150 milioni di utenti attivi al mese e vanta la condivisione di 55 milioni di foto al giorno).
Ma mai giungere a conclusioni troppo affrettate. Diamo tempo al tempo. Chissà, magari sarà proprio Mark Zuckerberg a scatenare la “Jelly-mania”, visto che ne è diventato involontariamente testimonial finendoci immortalato da Ben Schaenter, Mobile Product Manager di Yahoo!, che ha pubblicato la foto del fondatore di Facebook che messaggiava dal proprio cellulare mentre era alla guida della sua auto. «Mark Zuckerberg texting and driving. How do you respond?», si legge nella finestrella di testo accanto allo scatto. Risultato: la domanda ha immediatamente scatenato migliaia di risposte.
di Alma Pantaleo