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Renzi e la Cgil

Almeno su un punto Susanna Camusso e Maurizio Landini dovrebbero essere d’accordo con Matteo Renzi: la necessità di una legge sulla rappresentanza sindacale. Ma una legge è davvero necessaria? E, se sì, che tipo di legge? Solo dando una risposta convincente a queste due domande si potranno superare l’ostilità della Cisl e i dubbi di autorevoli esponenti della maggioranza (come l’ex ministro Maurizio Sacconi).

Cominciamo col dire che gli accordi tra le parti sociali costituiscono la base imprescindibile di ogni regolazione efficace. In questo senso, il Protocollo sottoscritto nel maggio dello scorso anno dalle confederazioni sindacali e da Confindustria è cruciale. Infatti, ha fissato il percorso che consente sia di misurare la rappresentatività, sia di validare i contratti attraverso il coinvolgimento obbligatorio di tutti i lavoratori, iscritti e non iscritti.

Il principio cui viene ancorato il nuovo quadro normativo è quello maggioritario. Una scelta coerente con il regime vigente nell’impiego pubblico, che fin qui ha dato buona prova di sé incentivando la ricerca di soluzioni condivise e la pratica di mediazioni unitarie tra le sigle confederali.

Il 23 luglio 2013, come è noto, la Corte costituzionale ha bocciato l’applicazione fatta dalla Fiat dell’articolo 19 dello Statuto dei lavoratori (modificato dalla consultazione referendaria del 1995). La sua sentenza ha sancito il superamento definitivo di ogni presunzione di rappresentatività, a favore di una rappresentatività periodicamente verificata e accertata.

Una vicenda che ha spinto anche Sergio Marchionne a invocare una legge. Del resto, è inconfutabile che qualunque intesa interconfederale, anche nell’ipotesi che ad essa aderiscano tutte le organizzazioni datoriali, non potrebbe avere una portata universalistica. Ne rimarrebbero comunque fuori migliaia di aziende non associate,e centinaia di migliaia di lavoratori continuerebbero a restare privi del diritto a una rappresentanza elettiva.

Quale legge, allora? In Parlamento sono già stati presentati diversi progetti (penso, in particolare, a quello di Giorgio Airaudo, già membro della segreteria della Fiom). Si possono tradurre in legge (con qualche accorgimento) i testi elaborati dai soggetti sociali; oppure si può optare per un intervento meno invasivo, affidando all’autonomia collettiva i suoi opportuni adattamenti nelle diverse realtà di settore e di impresa.

Si discuta pure sulle diverse opzioni in campo, ma si decida presto. Una cosa è certa: l’astensionismo legislativo sul tema delle regole della rappresentanza non giova a nessuno, né può diventare un dogma paralizzante, l’espressione di culture rivendicative dalla nobile storia, ma ormai superate dai tempi.



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