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Ecco come la Fed fa concorrenza sleale alla Bce

Il primo contribuente americano è la FED: per il 2013 verserà alle entrate federali ben 77,7 miliardi di dollari. E’ il netto di pertinenza del Tesoro, dedotte le spese, di quanto ha fruttato la negoziazione sul mercato aperto dei titoli del debito americano e di quelli che hanno come sottostante i mutui immobiliari garantiti dalle Agenzie federali (MBS): al lordo, l’incasso della Fed è stato di 90,4 miliardi. E’ un giroconto: spese per interessi poste a carico del bilancio, accreditate alla Fed, e da questa riversati nuovamente alle entrate del bilancio. Uno storno che alleggerisce non poco il costo del debito per i cittadini statunitensi.

I numeri sono questi: alla data del 1° gennaio del 2013, considerando i titoli federali per tutte le scadenze, la Fed ne deteneva per 1.666 miliardi di dollari, divenuti 2.208 miliardi a fine dicembre a seguito degli acquisti mensili disposti dal Qe3: l’incremento è stato infatti di 542 miliardi di dollari, corrispondenti ai 45 miliardi mensile previsti. Ma, naturalmente, gli interessi percepiti dalla FED, ed ora riversati al Tesoro, si riferiscono al totale detenuto.

Il debito pubblico americano in circolazione nel 2013 dovrebbe essere arrivato a 17.723 miliardi di dollari, mentre era di 10.797 miliardi nel 2008, allo scoccare della crisi. Tra la fine del 2008 e la fine del 2013, quindi, gli Usa hanno emesso maggior debito netto per 6.926 miliardi di dollari. La Fed, a sua volta, alla data del 31 dicembre 2008 deteneva titoli del Tesoro per 476 miliardi di dollari: l’incremento  a fine 2013 è stato di ben 1.732 miliardi. La Fed, quindi, ha sottoscritto il 25% del maggior debito pubblico complessivamente emesso nella media degli anni post-crisi. Il sostegno dato dalla FED al Tesoro americano è di gran lunga più rilevante se andiamo invece a computare il rapporto tra il maggior debito federale emesso nel 2013, pari a 1.035 miliardi di dollari, e la  quota sottoscritta dalla FED nel corso dell’anno, alla base del Qe3, i citati 542 miliardi di dollari: siamo oltre il 52%. In pratica, più della metà del maggior debito americano del 2013 è stato coperto dalla Fed, con maggiore liquidità.

Una volta, prima del cosiddetto divorzio, anche da noi il rapporto Tesoro-Banca d’Italia funzionava così. E così funziona ancora in Gran Bretagna ed in Giappone. Se avessimo ancora una Banca centrale autonoma, libera di comportarsi come la Fed, la BoE o la BoJ, forse avrebbe sottoscritto a titolo definitivo il 25% dei 392 miliardi di euro del maggior debito pubblico italiano emesso dal 2008 in poi, pari a 98 miliardi. E, quest’anno, avrebbe acquistato il 50% dei 50 miliardi di euro del maggior indebitamento netto, pari a 25 miliardi. La Banca d’Italia avrebbe, infine, retrocesso alle entrate dello Stato circa 4,5 miliardi euro di interessi. Ma l’impatto sarebbe stato ben superiore a quello aritmetico, che abbiamo appena abbozzato: il mercato avrebbe seguito con minore isteria le varie fasi politiche, perché ci sarebbe stata sempre una Banca centrale alle spalle del Paese. E magari, invece di essere costretti a subire la clava dello spread, sarebbe stato il mercato  a non contrariare la nostra Banca centrale

Forse, se avessimo avuto ancora la vecchia Banca d’Italia, le cose sarebbero andate meglio: più che un divorzio, con ognuno che si fa una nuova vita, siamo ormai come i separati in casa. Una sterile  convivenza, ricordando i bei tempi andati.



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