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Vi spiego perché il discorso di Obama mi ha un po’ deluso

Il discorso sullo Stato dell’Unione del Presidente Obama è stato ottimista, e incentrato quasi completamente sulla politica sociale e l’economia domestica. Presenta una sola proposta sostanziale degna di nota, ovvero l’incremento del salario minimo garantito a 10,10 dollari, un provvedimento che, peraltro, se non sottoscritto dal Congresso, si applicherà solo o prevalentemente ai dipendenti pubblici, Federali e Statali. La parte sulla politica estera è breve, e di sostanza c’è di fatto solo il ritiro della presenza militare in Iraq e in Afghanistan.

È vero che gli Stati Uniti sono usciti dalla crisi con maggiore successo di molti altri paesi, e che oggi l’America è di nuovo un paese in crescita, dove investire, e che si confronta bene con la concorrenza internazionale. È vero che la disoccupazione si è ridotta. Questo è certo il risultato di politiche espansive, monetarie e fiscali, e dell’indebitamento. Ma è anche un fenomeno strutturale. Gli Stati Uniti sono da più di un secolo un economia grande, flessibile, articolata, e capace di rimbalzare dalle crisi, hanno in se gli elementi che permettono questa ripresa, non ultimo la capacità imprenditoriale e un mercato più libero e dinamico di molti altri paesi.

Le rigidità strutturali dell’Europa sono forse un motivo di lentezza nella ripresa più importante delle politiche congiunturali rivolte all’austerità, senz’altro eccessive, che hanno funestato l’Unione. Queste rigidità strutturali sono meno presenti negli Stati Uniti, e, assieme alle grandi risorse naturali e al ruolo centrale del dollaro, rimangono fattori secolari di forza dell’economia Statunitense, che pochi anni di politiche espansive non fanno che rinforzare. Il ruolo della politica energetica e del “fracking” nel migliorare l’indipendenza energetica del Paese è senz’altro importante, anche se non se ne valutano a sufficienze le potenziali conseguenze nefaste di lungo periodo per l’ambiente e il pianeta.

Il discorso appare debole nel complesso, e alla fine affronta il problema della diseguaglianza nei redditi e del rilancio con strumenti pubblici – salario minimo garantito, scala mobile, copertura sanitaria universale. Questi elementi certo hanno un ruolo, ma manca un’enfasi forte e dettagliata sulle politiche strutturali che dovrebbero permettere all’economia, al settore
privato, alla piccola e media impresa, di ridare impulso alla crescita in maniera sostenibile. Sugli incentivi fiscali al lavoro e alla produzione si dicono cose tutto sommato molto vaghe. E sulla spinta all’innovazione, alla riduzione della burocrazia, e alla dinamizzazione del mercato, si fanno delle affermazioni di principio, ma senza progetti di riforma specifici degni di nota. Importanti sì, la riforma dell’immigrazione e della legge sui brevetti, ma non sufficienti.

In politica estera, la sensazione è quella di un player globale molto passivo, poco presente sugli scenari di Siria, Ucraina, Egitto, se non per perpetuare un sostegno di lungo periodo che già era presente in passato nella Regione. E l’enfasi sui successi con l’Iran non tiene conto forse a sufficienza degli sviluppi autonomi (l’elezione di Rohani) di questo paese, e dei rischi connessi. Nel complesso, abbastanza debole. Sui temi dell’intrusione nella privacy e della politica antiterrorismo, si dice poco, e si rimane con la sensazione di un approccio tutto sommato aggressivo, anche se non dichiarato come tale.

Per concludere, nonostante i risultati positivi, e qualche elemento nuovo, non pare un discorso caratterizzato da quell’incisività di intenti e di politiche che ci si aspetterebbe in questo momento del secondo mandato del Presidente degli Stati Uniti, dove invece si sarebbero potuti esprimere obiettivi e politiche ben più ambiziosi.

Francesco Confuorti è presidente di Advantage Financial


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