Signor Presidente del Consiglio,
Autorità,
Signore e Signori,
buongiorno a tutti.
Desidero ringraziare in particolare il presidente Mario Monti per aver accettato il nostro invito.
Sappiamo bene che un’agenda fitta di impegni, specialmente in un momento così delicato per il Paese, non ha reso facile la sua presenza oggi. Ma il fatto che sia qui assume un grande significato per tutti noi, e le siamo molto grati, anche per questo.
Vorrei ringraziare inoltre l’ingegner Coppola, per la sua introduzione sullo stabilimento e per i risultati che ha raggiunto negli ultimi anni qui a Melfi, insieme alla sua squadra, in termini di qualità e di efficienza.
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Di solito, alla fine dell’anno, ci si ferma a guardare indietro e a riflettere su ciò che è successo.
Per noi, la fine del 2012 coincide invece con un nuovo inizio.
Il 30 ottobre abbiamo illustrato agli analisti finanziari internazionali e ai sindacati italiani un piano coraggioso; un piano che io stesso ho definito “non per i deboli di cuore”.
Si tratta di una strategia per contrastare gli effetti che la crisi in Europa sta avendo sulla Fiat, e allo stesso tempo avviare nuove produzioni nei nostri stabilimenti dell’auto in Italia.
L’evento di oggi rappresenta il primo passo concreto di questo progetto più ampio, che prende avvio, nel dettaglio, proprio da Melfi.
Non si è trattato di una decisione facile, né scontata.
Il mercato dell’auto in Europa è in caduta libera, e sembra non avere ancora toccato il fondo.
Il 2012 sarà il quinto anno di declino consecutivo, uno dei peggiori degli ultimi vent’anni.
Tutti i costruttori di massa perdono soldi in Europa e soffrono di un problema cronico di sovraccapacità produttiva.
La crisi di mercato e il conseguente basso utilizzo degli impianti hanno comportato per Fiat perdite gravissime in Europa negli ultimi tre anni.
Per il 2012 stimiamo di perdere circa 700 milioni di euro per i marchi generalisti in Europa.
E’ chiaro che una situazione del genere non è sostenibile a lungo.
Ma nonostante la situazione dei mercati europei, la Fiat, nel suo complesso, è un’azienda sana e forte.
Sulla base degli obiettivi già annunciati, chiuderemo il 2012 con un utile della gestione ordinaria di circa 3,8 miliardi di euro e un utile netto superiore a 1,2 miliardi di euro.
Ma questi risultati sono basati totalmente su ciò che Fiat fa al di fuori dell’Europa.
Qualunque investimento fatto oggi in un contesto europeo, avendo come unico mercato di sbocco un’area in profonda crisi economica, non avrebbe senso.
Anzi, sarebbe una strategia suicida.
Avrebbe come unico effetto quello di comportare ulteriori perdite per l’azienda e ulteriori disagi sui lavoratori.
La ragione per cui noi oggi possiamo permetterci di intraprendere questa strada è perché Fiat e Chrysler insieme sono una realtà industriale profondamente diversa rispetto a tre anni fa.
La Fiat si è aperta all’esterno, in maniera fondamentale e irreversibile.
I nostri mercati di riferimento non sono più soltanto quelli tradizionali – italiano ed europeo – ma sono diventati soprattutto quelli extra-europei.
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Lo spirito con cui abbiamo organizzato questo evento è quello della ripartenza.
Arriva un momento in cui è necessario voltare pagina e iniziare da capo.
Per questo ci troviamo oggi a Melfi, ad annunciare la prima fase di un lungo percorso che coinvolgerà la nostra rete industriale italiana.
Ci tenevamo che oggi non fossero presenti solo le autorità e i sindacati che hanno condiviso con noi questa sfida, ma anche e soprattutto i nostri lavoratori dello stabilimento.
Il vostro coinvolgimento nel progetto è fondamentale.
Se abbiamo scelto Melfi è perché riconosciamo la professionalità e le capacità tecniche di chi lavora in questo impianto.
Riconosciamo anche il vantaggio competitivo di avere un parco fornitori all’interno del comprensorio, collegato direttamente allo stabilimento.
Rappresentano la migliore garanzia per questo progetto, perché si realizzi e si realizzi bene.
Vogliamo cominciare a scrivere insieme a voi un nuovo capitolo.
Un capitolo che parla proprio dell’integrazione tra Fiat e Chrysler e della nostra apertura al mondo.
Il ciclo che si apre oggi rappresenta l’impegno che abbiamo deciso di prendere, trovando nuove soluzioni, per restare in Italia e tornare ad essere profittevoli.
Questo è il senso della scommessa che stiamo facendo sul nostro Paese.
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Finora ci siamo potuti permettere di mantenere intatta la struttura industriale che abbiamo in Italia, ben sapendo che ora si tratta di una realtà operativa in perdita.
Non è la prima volta che lo dico apertamente.
Ma non c’è ragione di sentirsi offesi.
Tacere la verità non serve a risolvere il problema.
Non è così che noi abbiamo messo al riparo la Fiat nel 2004.
Che le nostre attività produttive in Italia oggi non apportino utili al bilancio complessivo è un semplice dato di fatto.
E non c’è nessun colpevole per questo in Fiat.
Di certo non lo sono i nostri lavoratori, non lo siete voi.
In Italia abbiamo competenze, impianti che dispongono delle migliori tecnologie e tante persone che hanno voglia di lavorare e lo sanno fare bene.
Melfi è un esempio lampante.
Grazie alle qualità di chi lavora qui, nel 2005 l’avevamo scelto come l’unico stabilimento che avrebbe prodotto una delle vetture più importanti per la nostra riscossa sui mercati, la Grande Punto.
Una vettura che, peraltro, ha ricevuto una lunga lista di premi proprio per i risultati produttivi, qualitativi e gestionali ottenuti da questo impianto.
Melfi è stato anche il primo stabilimento, tra tutti quelli della Fiat nel mondo, a raggiungere il silver level secondo i criteri di produzione del World Class Manufacturing.
Eppure tutto questo non basta ad assicurarci contro i rovesci del mercato.
Quando la recessione colpisce, e colpisce i ceti più deboli, l’ultima cosa cui si pensa è cambiare la macchina.
Voi che lavorate qui, come i vostri colleghi degli altri stabilimenti italiani, lo avete purtroppo vissuto sulla vostra pelle.
La mancanza di lavoro ha costretto molti di voi a stare a casa in cassa integrazione, con quello che ne consegue a livello economico e morale.
E’ purtroppo una scelta obbligata, per evitare, ad ogni costo, la strada dei licenziamenti.
Finora, siamo vissuti sulle spalle del benessere creato altrove.
Abbiamo usato la sicurezza finanziaria che ci deriva dalle attività extra europee – specialmente negli Stati Uniti e in Brasile – per sostenere e proteggere la nostra presenza in Italia.
Ma è evidente che il problema resta e non può durare all’infinito, se non vogliamo minare in modo irreparabile la solidità che abbiamo costruito in tutti questi anni.
A differenza di quello che stanno facendo i nostri concorrenti in Europa – che annunciano tagli, chiudono fabbriche o ricevono miliardi di aiuti pubblici – noi non abbiamo mai parlato di eccedenze.
E continuiamo, come abbiamo fatto fin dal 2004, a non chiedere soldi al Governo.
Quando abbiamo deciso di rimanere ai margini del campo di battaglia, mentre gli altri costruttori europei si lanciavano in una disastrosa guerra sui prezzi, lo abbiamo fatto in modo consapevole.
Investire con un mercato in caduta libera sarebbe stato disastroso.
Nella vita si impara che ci sono dei momenti in cui bisogna restare fuori dalla mischia ed aspettare.
Quando si è in mezzo ad una crisi è importante saper scegliere come e quando reagire.
Questo è quello che ha fatto la Fiat: abbiamo evitato di seguire la strada che stavano battendo gli altri, e abbiamo scelto una strategia diversa.
L’esperienza, nella vita e nel business, insegna che chi segue l’ovvio, il più delle volte deve piegarsi alla sconfitta.
Noi abbiamo riflettuto a lungo sulle possibilità che avevamo di fronte.
Le alternative erano soltanto due.
La prima era quella di rimanere totalmente concentrati sulle vetture di massa ed eliminare parte della capacità produttiva in eccesso, chiudendo almeno uno stabilimento in Italia.
Questa è una strada che alcuni hanno auspicato – specialmente gli analisti finanziari – e molti hanno temuto, per gli effetti sociali che avrebbe provocato.
La seconda era quella di ripensare in parte il nostro business e sfruttare il patrimonio storico dei nostri marchi premium per bilanciare finalmente la nostra offerta di prodotto, puntando, oltre che sui segmenti piccoli sui quali siamo forti per tradizione, anche sui segmenti più alti e più redditizi. E così facendo, aprirci la strada ai mercati esteri.
La prima è l’alternativa facile, razionale ed economica. Non a caso il Wall Street Journal, qualche mese fa, ha scritto che la chiusura di stabilimenti in Italia sarebbe stata una scelta sensata dal punto di vista finanziario.
La seconda, invece, è la scelta coraggiosa, e non priva di rischi.
Ma, soprattutto, è una scelta che esula da qualunque logica di interesse e che risponde invece al senso di responsabilità che la Fiat sente verso questo Paese.
Se siamo qui oggi è perché abbiamo scelto la strada del coraggio.
Abbiamo già dimostrato più di una volta, in passato, che i momenti di crisi possono diventare occasioni da sfruttare.
Occasioni per fare qualcosa di nuovo, per gettare le basi di un futuro differente.
E’ nelle difficoltà che occorre avere visione, riprendere in mano la situazione e ripensare, a volte, anche se stessi.
All’inizio vi ho parlato di una scommessa che stiamo facendo sull’Italia, ma non si tratta di una strategia azzardata.
Sul piatto mettiamo impegno, investimenti, la determinazione a raggiungere i risultati che ci ha sempre guidati.
E mettiamo le capacità tecniche dei lavoratori italiani.
Abbiamo intenzione di toglierci dalla mischia dei marchi generalisti ed andare a competere nella parte alta e meno affollata del mercato.
E’ una scommessa che facciamo sapendo che ne abbiamo la forza e che possiamo contare su alcuni vantaggi concreti.
Primo: il fatto che possiamo mettere in gioco tutte le nostre competenze ed eredità migliori, perché abbiamo in casa il prestigio e la qualità di chi, come la Ferrari, ha definito l’alto di gamma in tutto il mondo.
Secondo: il fatto che l’insieme di Fiat e Chrysler ci ha dato la capacità di sviluppare negli ultimi tre anni architetture e motori che saranno all’avanguardia per il segmento premium.
Terzo: il fatto che la Fiat oggi, grazie a Chrysler, ha una presenza globale, che ci dà accesso tanto ai mercati del Nord America quanto a quelli asiatici, e ci offre la possibilità di sfruttare parte della nostra capacità produttiva per le esportazioni.
Possiamo e dobbiamo fare degli stabilimenti italiani una base di produzione dedicata a veicoli destinati ai mercati di tutto il mondo.
Considerando queste premesse, abbiamo programmato di portare in produzione negli impianti italiani 17 nuovi modelli e 7 aggiornamenti di prodotto da qui al 2016.
Questo ci permetterà di ottenere, già nei prossimi 24 mesi, un significativo aumento dell’attività produttiva, fino ad arrivare, nel giro di tre-quattro anni, ad un pieno impiego di tutti i nostri lavoratori.
Ci permetterà, inoltre, di risolvere il nostro problema della sovraccapacità produttiva nel mercato generalista e di raggiungere finalmente il pareggio, anche in Italia ed in Europa.
Si tratta di un impegno enorme, che ci sentiamo di prendere prima di tutto per onorare la responsabilità sociale che è collegata al nostro modo di intendere il business.
Lo facciamo anche in relazione al contesto economico attuale e agli sforzi che sono stati avviati negli ultimi 12 mesi, affinché l’Italia possa tornare ad essere competitiva e sanare quei deficit che oggi tengono lontani gli investitori esteri e costringono tante aziende ad andarsene.
Non ci siamo mai tirati indietro in passato e non intendiamo farlo ora, che è in corso un processo di risanamento del Paese.
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Già nel 2013 inizierà la costruzione di tre nuovi modelli in Italia, tutti destinati anche ai mercati mondiali: la Maserati Quattroporte e la Maserati Ghibli, entrambe assegnate allo stabilimento di Grugliasco; e l’Alfa Romeo 4C, che sarà costruita nell’impianto di Modena.
Qui a Melfi, in particolare, verrà installata la nuova piattaforma Small Wide, che è una delle tre architetture-chiave per Fiat-Chrysler.
E’ stata creata in Italia, dalla Fiat, e ulteriormente sviluppata nell’ultimo periodo come base per tutti i futuri modelli di segmento B e B-UV del gruppo.
Si tratta di una piattaforma modulare, che può essere facilmente adattata per costruire vetture di dimensioni anche maggiori.
E’ già stata impostata con contenuti di prodotto che rispondono anche alle normative americane, in modo da esportare i veicoli senza ulteriori adattamenti.
All’impianto di Melfi verranno destinati due modelli totalmente nuovi, la cui produzione inizierà dal 2014, quando avremo completato i lavori di adeguamento dell’impianto.
La prima delle due vetture sarà un utility vehicle del marchio Jeep, che rappresenta anche la prima applicazione dell’architettura Small Wide. Apparterrà ad un segmento di mercato nel quale il marchio oggi non è presente. Come tutti gli altri modelli della Jeep, verrà venduto nei mercati di tutti i continenti. Melfi sarà l’unico stabilimento al mondo che lo produrrà, finché la capacità installata sarà disponibile.
Oltre alla Jeep, verrà prodotta anche la nuova Fiat 500X, un’ulteriore evoluzione della famiglia 500, più grande, più spaziosa e più capace della 500L che è in commercio da circa tre mesi. La 500X permetterà al marchio di entrare in una fascia di mercato che si sta espandendo in Europa.
Abbiamo già iniziato le attività preliminari per attrezzare la fabbrica alle nuove produzioni.
Lo stabilimento di Melfi verrà modificato in modo sostanziale, con un investimento complessivo superiore ad un miliardo di euro.
Una volta ultimati gli interventi di ammodernamento, questo impianto avrà una flessibilità enorme.
Flessibilità nel tipo di produzione, perché sarà predisposto per costruire fino a quattro modelli diversi sulla stessa linea.
E flessibilità nei rapporti di quantità tra le varie produzioni.
Potremmo infatti modulare, in qualunque percentuale, il numero di Jeep rispetto alle 500X da costruire sul totale della linea, riuscendo ad adeguarci in tempo reale alle richieste del mercato.
Gli investimenti serviranno anche ad aggiornare il livello tecnologico di tutti i reparti.
Lo stampaggio, che è già uno tra gli impianti più moderni, verrà dotato di una nuova sala metrologica, in coerenza con i migliori standard di controllo qualità.
In lastratura inseriremo 500 nuovi robot e costruiremo nuove linee per la saldatura di fiancate e scocche.
La verniciatura verrà adattata alle esigenze di vetture più grandi rispetto all’attuale Punto. Introdurremo le più moderne soluzioni tecnologiche, con un impatto positivo sulla qualità del prodotto e sul rispetto dell’ambiente.
Anche il reparto di montaggio sarà ristrutturato in modo significativo, con impianti totalmente nuovi, che serviranno anche a migliorare l’ergonomia delle postazioni di lavoro e i flussi logistici.
I sistemi di controllo della qualità finale verranno sostituiti con impianti di ultima generazione.
Una volta completati i lavori, Melfi tornerà ad essere un centro di produzione modello, uno stabilimento automobilistico all’avanguardia a livello mondiale.
Quando la produzione raggiungerà il pieno ritmo, questa fabbrica sarà in grado di costruire 1.600 vetture al giorno, organizzate su tre turni di lavoro.
Quello di oggi è il primo di una serie di annunci, che coinvolgeranno in modo progressivo anche tutti gli altri nostri stabilimenti dell’auto in Italia.
L’elemento comune è che per gli investimenti che abbiamo già fatto, che stiamo avviando o che faremo, non chiediamo aiuti pubblici.
Chiediamo invece di avere fiducia in un progetto che si inserisce negli sforzi che l’Italia sta facendo per risollevarsi e per eliminare i fattori che frenano la competitività dell’industria e del sistema-Paese.
Chiediamo rispetto per il lavoro di tutte le persone della Fiat e per i nostri fornitori, che condividono con noi il rischio di fare industria in Italia e ci hanno sempre affiancati e sostenuti.
Ai sindacati che hanno compreso la gravità del momento e la necessità di restare uniti, chiediamo di continuare a credere che insieme possiamo dare un contributo determinante.
Abbiamo già dimostrato che si può fare: a Pomigliano abbiamo creato uno stabilimento modello, il migliore d’Europa, come anche i tedeschi ci riconoscono.
Non c’è nessuna ragione per cui non possiamo ripeterlo altrove.
Se saremo capaci di fare bene il nostro mestiere, potremo avere successo e contribuire a rivalutare l’immagine dell’Italia come paese tecnologicamente avanzato, nel quale è ancora possibile fare industria.
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Non vi posso promettere che sarà facile.
Il mercato resterà ancora molto debole per tutto il prossimo anno.
Questo richiederà altri sacrifici da parte vostra e delle vostre famiglie, fino almeno al 2014, quando partiranno le nuove produzioni.
Ma due cose posso dire con certezza.
La prima è che la Fiat è presente e non intende tirarsi indietro.
Stiamo cercando il modo migliore per garantire a tutti gli stabilimenti adeguate condizioni di efficienza e competitività, in modo che possano tornare a lavorare a pieno ritmo.
Stiamo cercando la via migliore per garantire a tutti voi di lavorare con serenità e continuità.
La seconda cosa che ci tengo a dirvi è di continuare ad avere fiducia perché possiamo farcela.
Abbiamo un progetto chiaro, e intendiamo realizzarlo con estremo rigore.
Sono certo che ripartiremo, perché condividiamo la cultura più importante, che è quella del fare.
La cultura del prendere decisioni coraggiose, specialmente nei momenti di incertezza.
Di non arrendersi alle difficoltà, ma di affrontarle, in modo ostinato, e trovare nuove soluzioni.
Questa è la cultura che ci ha permesso più di otto anni fa di costruire la rinascita della Fiat, ed è anche l’unica che può guidare l’Italia verso un nuovo cammino di ripresa economica.
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La Fiat è considerata ancora da molti lo specchio del Paese.
Forse per ragioni storiche – o forse perché siamo la più grande impresa industriale privata – la percezione è che le nostre sorti siano in qualche modo legate.
La verità è che negli ultimi otto anni e mezzo abbiamo creato dalle potenziali ceneri di un costruttore italiano un gruppo automobilistico con un orizzonte globale.
Questa non è più la Fiat che gli italiani ricordano.
A volte succede che quando si vede un figlio crescere, si abbia difficoltà ad accettarne il cambiamento, a vederlo nel ruolo di persona matura.
Così talvolta è anche nel rapporto tra l’Italia verso la Fiat.
Ma se questa azienda si è trasformata ed è cresciuta nel mondo, è stato solo per porre fine ad un isolamento che ne avrebbe pregiudicato il futuro.
Lo abbiamo fatto per diventare più forti, più capaci, più consapevoli delle nostre possibilità.
E questa non può essere una colpa.
Oggi il destino vuole che, mentre si apre una nuova sfida per la Fiat, anche l’Italia si trovi ad affrontare una delle sue sfide più difficili dal Dopoguerra.
Il nostro Paese ha perso tanti anni ad inseguire promesse e chimere che ci hanno allontanati dal resto del mondo, portandoci in fondo a tutte le classifiche internazionali.
Quello che il Governo ha fatto negli ultimi 12 mesi è ammirevole.
Di fronte ad una situazione di emergenza, questo Governo è stato capace di ricreare un clima di fiducia verso il nostro Paese e di riguadagnare credibilità.
E’ riuscito ad avviare importanti riforme strutturali e a scongiurare il rischio di default.
Abbiamo tutti apprezzato e gli siamo molto riconoscenti per ciò che è stato fatto.
Ma le zavorre che schiacciano l’industria italiana e indeboliscono l’intero sistema sono ancora pesanti.
Così come è ancora lunga la strada perché l’Italia non sia più considerata tra i fanalini di coda dell’Europa, sempre in balìa delle regole e della volontà di qualcun altro.
Vorremmo invece che tornasse a sedere con orgoglio al tavolo con gli altri stati membri e partecipasse da protagonista alla costruzione del futuro comune, in Europa e nel mondo.
Far ripartire l’Italia e riposizionarla a livello internazionale non è un’impresa facile e di certo è ancora lontana dall’essere compiuta.
Ma l’agenda di questo Governo dimostra coraggio e lungimiranza.
E’ l’agenda di un Paese che non si rassegna alla decadenza e all’abbandono, ma si impegna per cambiare le cose, per costruire, per progredire.
Eppure non siamo che all’inizio.
Mi auguro che chiunque avrà la responsabilità di gestire il Paese prosegua sulla stessa strada avviata e porti avanti un programma che è l’unico in grado di restituire all’Italia il posto e la considerazione che può meritare.
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Noi tutti dobbiamo capire che ci troviamo in una fase di discontinuità storica.
L’epoca in cui viviamo, i problemi che dobbiamo affrontare, ci collocano ad un bivio e rendono le nostre scelte ancora più cariche di significato.
La scelta che si impone oggi è tra sposare una cultura della competizione e portarci al passo col resto del mondo, oppure restare a casa, rassicurati dall’abitudine di lasciare tutto com’è, confortati dall’illusione che prima o poi ci risolleveremo.
La scelta è tra sporcarsi le mani in un campo aperto oppure difendere lo status quo, quello che per gli ultimi vent’anni ci ha condotti ad un lento e inarrestabile declino industriale.
Abbiamo già perso troppi anni di produttività, di competitività e di benessere per i nostri cittadini.
La cosa peggiore è che ci siamo già giocati il futuro di tanti giovani.
Adesso è il momento di ripartire e di farlo nel modo che conosciamo meglio, dal valore fondamentale su cui questo Paese è stato fondato: il nostro lavoro.
L’impegno a tutelare il sistema economico e produttivo italiano, a renderlo competitivo e in grado di creare occupazione richiede una cultura e obiettivi comuni.
Dobbiamo ricordarci che abbiamo davanti un’Italia che è ancora tutta da ricostruire.
Come sempre avviene nei momenti cruciali della storia di una comunità, anche ora c’è bisogno che questo diventi un progetto condiviso, verso cui indirizzare le energie e il contributo di tutti.
La Fiat non intende tirarsi indietro.
E’ più di un secolo che la storia di questa azienda è intrecciata con la storia d’Italia.
La Fiat ha partecipato allo sviluppo industriale di questo Paese, in parte lo ha stimolato. Ne ha accompagnato la crescita economica e sociale, e ne ha favorito il benessere. E, a sua volta, ne ha avuto in cambio, benessere e sviluppo.
Oggi, dopo 113 anni, quello spirito è ancora vivo.
Siamo qui per rinnovare il nostro impegno.
La Fiat oggi è un’azienda totalmente diversa da quella di una volta, è aperta e globale, lontana dall’idea che tanta parte dell’opinione pubblica può ancora avere.
Non possiamo illuderci di ricreare la Fiat del passato – e non lo vogliamo.
Ma siamo qui perché intendiamo fare la nostra parte per l’Italia.
Vogliamo contribuire alla costruzione di un domani che sia all’altezza delle nostre aspettative di crescita industriale, sociale e civile.
Se siamo in grado di immaginare un futuro migliore, allora abbiamo anche la responsabilità di costruirlo.
Adesso è il momento di dimostrare che siamo all’altezza della situazione e che siamo degni della storia che abbiamo alle spalle.
Questa è l’Italia che ci piace.
Questa è l’Italia che piace al mondo.
Grazie a tutti.