Autorità,
Signore e Signori,
buongiorno a tutti.
Vorrei ringraziare, in particolare, l’ingegner Galante per il lavoro straordinario che ha fatto in questo stabilimento, insieme alla sua squadra.
In poco più di un anno, questo luogo è stato completamente ristrutturato e rimesso a nuovo.
Un’officina che di glorioso non aveva più nulla, se non il proprio passato, è stata trasformata in un centro di produzione modello, che oggi è all’avanguardia a livello mondiale.
E’ dal 2006 che qui dentro non si costruisce più nulla.
Ora, dopo oltre sei anni di inattività – anni di timori e di incertezze – questo stabilimento torna finalmente a vivere, a lavorare e a guardare al futuro.
Credo siano motivi sufficienti per considerare oggi un giorno di festa.
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Tra un paio d’ore qui, nello stabilimento “Avvocato Giovanni Agnelli”, si riunirà il Consiglio di Amministrazione della Fiat per esaminare i risultati del 2012.
E’ la prima volta nella storia di questa azienda che il Consiglio di Amministrazione non viene convocato al Lingotto o in una delle nostre sedi nel mondo, ma all’interno di un impianto industriale.
Lo abbiamo scelto per due ragioni.
La prima è perché la vicenda di questo impianto assume un significato simbolico, specialmente in un momento di crisi come quello che il nostro Paese sta vivendo.
E’ un segnale di speranza, è la dimostrazione concreta che si può combattere il declino e avviare un nuovo corso.
Il secondo motivo, in realtà, è un modo per testimoniare – se ancora ce ne fosse bisogno – che il nostro è un impegno serio.
Intendiamo fare tutto il possibile per contrastare gli effetti che la crisi sta avendo sulle attività legate ai marchi generalisti in Europa.
Stiamo seguendo una strategia precisa, per sfruttare il patrimonio storico dei nostri marchi premium e andare a competere nella parte alta e meno affollata del mercato.
Siamo determinati a usare i nostri stabilimenti italiani come base di produzione per veicoli destinati ai mercati di tutto il mondo.
Non dico che sia una strategia facile.
Io stesso l’ho definito un piano “non per i deboli di cuore”.
Ma nella vita – come nel business – si impara che è nei momenti difficili che bisogna fare scelte coraggiose.
Sappiamo che il mercato dell’auto in Europa è in caduta libera, e forse non ha ancora toccato il fondo.
Il 2012 è stato il quinto anno di declino consecutivo, uno dei peggiori degli ultimi venti.
Tutti i costruttori di massa perdono soldi in Europa e soffrono di un problema cronico di sovraccapacità produttiva.
Ma la Fiat non intende piegarsi alla crisi di mercato.
Non intendiamo rassegnarci a perdere soldi in Europa.
La storia di questa azienda, negli ultimi otto anni e mezzo, dimostra che il modo migliore per reagire ai problemi è adottare una nuova visione, riprendere in mano la situazione e ripensare, a volte, anche se stessi.
Lo abbiamo fatto nel 2004, quando abbiamo rifondato un gruppo che era sull’orlo del fallimento; gli abbiamo dato una nuova cultura e nuovi principi di gestione.
Lo abbiamo fatto nel 2009, ripensando il nostro modello di business e stringendo l’alleanza con Chrysler, nel mezzo di una crisi globale che altrimenti avrebbe condannato la Fiat a scomparire.
Lo facciamo oggi, in Italia, per continuare a produrre in questo Paese e tornare ad essere profittevoli.
Credo che le nostre scelte – passate e presenti – non siano tanto lo specchio di logiche industriali.
Sono piuttosto l’immagine di che cos’è la Fiat oggi, del suo carattere e dei suoi valori.
Parlano di un’azienda tenace, che non si arrende alle difficoltà, ma cerca sempre un’alternativa per cambiare le cose.
Un’azienda che si impegna per rimanere competitiva e, allo stesso tempo, per garantire una stabilità sociale.
Questo è il nostro modo di intendere il business.
Cercare un punto di equilibrio tra esigenze aziendali e responsabilità sociale è l’impegno su cui abbiamo fondato la nostra missione industriale.
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Oggi siamo qui a scrivere un nuovo capitolo nella storia di questa fabbrica e nella storia della Maserati.
Il marchio Maserati non ha bisogno di presentazioni.
Da quasi un secolo, il suo nome è legato alla migliore tradizione dell’auto sportiva.
E’ un marchio che ovunque è sinonimo di vetture raffinate ed eleganti.
Ed è uno dei simboli dell’Italia – e della qualità dell’industria manifatturiera italiana – nel mondo.
Un patrimonio di eccellenza che ha tenuto e continua a tenere alta l’immagine del nostro Paese all’estero.
Abbiamo già rischiato, più di una volta – prima che entrasse nell’orbita Fiat – di vederlo svalutato, o peggio ancora distrutto.
Penso alle difficoltà finanziarie alla fine degli anni Sessanta, quando l’azienda finì per essere ceduta ad un costruttore straniero e fu poi posta in liquidazione.
Penso anche agli alti e bassi dei successivi vent’anni, che si sono chiusi con una Maserati che non vendeva più di 400 vetture all’anno e aveva un destino segnato.
E’ in quel momento – nel 1993 – che l’Avvocato Agnelli decise di acquisire l’azienda e di avviare una ricostruzione praticamente da zero.
Voleva farne di nuovo una bandiera dell’Italia nel mondo.
Fu l’inizio della rinascita, fatta di investimenti, nuovi progetti, successi sportivi e del ritorno sul mercato nord-americano.
Nel 2005 si compie un altro passo destinato a incidere sulla storia e sul profilo della Maserati.
Lo scorporo dalla Ferrari, le offre la libertà di realizzare in modo autonomo la propria vocazione industriale e di avviare, nel contempo, un significativo piano di rilancio.
Nel 2007, infatti, torna anche ad essere un’azienda sana dal punto di vista economico e finanziario; un’azienda che produce utili.
Ma nonostante il prestigio riconosciuto a livello internazionale, Maserati non ha mai sfruttato fino in fondo le sue straordinarie potenzialità.
Per questo oggi è un giorno storico.
Il 2013 segna l’inizio di una nuova era per la Maserati.
Le vetture che usciranno da questa linea sono cruciali per riposizionare il marchio e avviare una fase di espansione senza precedenti.
Il piano di crescita che abbiamo disegnato, e che prevede l’ingresso in nuovi segmenti di mercato, ci porterà a vendere 50.000 vetture l’anno entro il 2015.
Se considerate che l’anno scorso Maserati ne ha vendute poco più di 6.000, stiamo parlando di un salto epocale.
Con la gamma attuale, Maserati presidia appena il 21 per cento del mercato del lusso, ma con i nuovi modelli in programma, arriveremo a coprire il 100 per 100.
Si tratta di un piano ambizioso.
E’ per questo che abbiamo voluto dotare Maserati di uno stabilimento dedicato, in cui viene svolto l’intero processo industriale: dalla lastratura ai controlli finali.
Il primo passo di questo progetto si compie oggi, con l’avvio produttivo della Quattroporte.
E’ un modello che abbiamo presentato due settimane fa al Salone dell’Auto di Detroit e verrà venduto sui mercati di tutto il mondo.
La Quattroporte, oltre ad essere l’ammiraglia Maserati, è una vettura che ha alle spalle 50 anni di successi.
La prima generazione rappresentò una rivoluzione nel mondo delle auto di lusso ed aprì la strada all’idea di una berlina con motore da corsa.
La quinta generazione – il modello che ha preceduto quella che vedete oggi – ha vinto 57 premi internazionali ed è stata l’auto di maggiore successo nella storia della Maserati.
La nuova Quattroporte nasce con lo stesso “dna”, con la voglia di fare da apripista e da riferimento per il settore.
I motori sono stati sviluppati in collaborazione con la Ferrari e verranno costruiti a Maranello, esclusivamente per Maserati.
Oltre alla Quattroporte, in questo impianto verrà prodotta anche un’altra vettura fondamentale, con volumi decisamente più elevati: la Maserati Ghibli.
Si tratta dell’auto con cui il marchio entrerà, per la prima volta, in una fascia di mercato in cui non è mai stato presente: l’alto di gamma del segmento E.
E’ un segmento in forte espansione, che già oggi, sia in Europa sia in Nord America, rappresenta più di un terzo delle vendite nel mercato del lusso.
Sulla linea stiamo già costruendo alcune pre-serie della Ghibli, che non possiamo ovviamente mostrarvi oggi, prima del lancio della vettura.
La produzione ufficiale verrà avviata entro l’estate.
Maserati si appresta a compiere un passo da giganti, in cui lo stabilimento “Avvocato Agnelli” avrà un ruolo fondamentale.
Tra i lavori fatti sulla fabbrica e lo sviluppo dei due nuovi modelli, abbiamo investito, nel complesso, più di un miliardo di euro.
Attualmente, la capacità produttiva è di 200 vetture al giorno su tre turni, ma l’impianto è già stato predisposto per una futura espansione, che ci permetterebbe di raddoppiare i volumi di produzione fino a 400 unità al giorno.
La piattaforma che abbiamo installato è modulare ed estremamente flessibile, in modo da poter essere usata eventualmente come base anche per altri modelli, e non solo Maserati.
Al momento, come ricordava l’ingegner Galante, sono già rientrate al lavoro più di 500 persone, circa la metà dell’organico, e altre 150 stanno seguendo i corsi di formazione.
L’entrata in produzione della Ghibli e la successiva salita produttiva ci permetterà di assicurare un pieno impiego di tutti lavoratori dello stabilimento entro la fine dell’anno.
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Se oggi possiamo celebrare la rinascita industriale di questo impianto, lo dobbiamo ad una serie di scelte che la Fiat ha fatto, anche in momenti difficili.
Alla fine del 2009, quando la Carrozzeria Bertone è entrata in amministrazione controllata, abbiamo deciso di rilevare lo stabilimento.
Lo abbiamo fatto per salvaguardare e rilanciare la tradizione industriale del sito.
Ma lo abbiamo fatto anche per dare un futuro lavorativo ad oltre mille persone, per permettere loro di mettere di nuovo a frutto il patrimonio di qualità tecniche, di competenze e la passione per l’auto che fanno parte della loro identità.
Non è stata quella l’unica occasione in cui Fiat è intervenuta in aiuto di alcune realtà industriali in difficoltà, soprattutto aziende dell’indotto.
A volte si è trattato di un sostegno finanziario.
Altre volte, nei casi più critici, abbiamo deciso di acquisire la società e portarla all’interno del gruppo.
Questo è successo, ad esempio, con la Ergom, la Itca, la Teksid Alluminio e la Imam – solo per citarne alcuni.
Non è stato un impegno da poco, anche sotto il profilo finanziario.
Parliamo di oltre un miliardo di euro.
Questi interventi hanno permesso di recuperare aziende strutturalmente deboli, ma soprattutto di salvare oltre 10.000 posti di lavoro, il cui futuro era seriamente compromesso.
Quando abbiamo acquisito la ex-Bertone, avevamo un progetto di rilancio preciso.
Ma avevamo anche la necessità di garantire alla fabbrica il necessario livello di competitività, in termini di utilizzo degli impianti, flessibilità, produttività e governabilità.
Come sempre avviene, per diventare un esempio di eccellenza è necessaria una volontà comune. E’ necessario condividere gli sforzi e decidere di andare tutti nella stessa direzione.
Anche per Grugliasco era essenziale la partecipazione attiva e convinta dei lavoratori e dei sindacati.
Le persone di questa fabbrica non hanno fatto mancare il loro supporto.
Ci hanno detto chiaramente, tramite referendum, che intendevano abbracciare con noi questa sfida.
Hanno scelto di dare al loro stabilimento, a loro stessi, una nuova possibilità: quella di tornare a competere con i migliori.
Non appena è stato raggiunto l’accordo con la maggior parte delle organizzazioni sindacali, abbiamo dato il via libera agli investimenti.
C’era uno stabilimento da rifare.
Da quel momento – era la fine del 2011 – abbiamo installato la linea di montaggio e i nuovi macchinari in tempo record.
In soli 12 mesi abbiamo completato un radicale intervento di ristrutturazione, in ogni reparto, per dotare lo stabilimento delle più avanzate attrezzature e delle più moderne soluzioni tecnologiche, trasformandolo in un sito di eccellenza mondiale.
Abbiamo introdotto i più elevati standard di produzione, secondo i principi del World Class Manufacturing, in modo da sfruttare al meglio le potenzialità dell’impianto.
Nel frattempo, è stato avviato un intenso piano di formazione per preparare le persone, dopo un lungo distacco dal lavoro, ad operare nel nuovo contesto produttivo.
E’ chiaro che durante gli interventi sulla fabbrica abbiamo fatto ricorso alla cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione.
Non è solo una procedura normale, che dà il tempo di rinnovare l’impianto per poi introdurre i nuovi modelli.
E’ un segnale che si investe, che si lavora, che c’è un futuro.
Non intendo entrare nelle polemiche recenti, che sono seguite alla richiesta della stessa procedura per la fabbrica di Melfi.
Sono l’ennesima prova che la Fiat viene usata per fini politici.
E questo, purtroppo, succede in un momento particolarmente delicato per l’Italia.
Confondere i compiti e le responsabilità del mondo politico con quelli di un’industria, usare l’una per colpire l’altro, non solo è assurdo, ma è soprattutto dannoso. Per la Fiat, per la nostra gente, per tutto il Paese.
Possiamo usare la Fiat per ridare all’industria italiana un futuro diverso e molto migliore.
Possiamo usarla per il contributo che può offrire, in termini di investimenti e occupazione, alla fase di ricostruzione dell’Italia.
Possiamo usarla come testa di ponte per aprire il Paese a una nuova fase di export.
Usiamola per questo, ma solo per questo.
Non abusiamo di lei per fini politici.
Le energie spese per attaccare la Fiat, gli sforzi – anche spasmodici – per trasformarla in un’arena politica… credo sarebbe molto più utile indirizzarli verso il risanamento del Paese.
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Prima di concludere, vorrei aggiungere un’ultima riflessione.
Ricordare la vicenda di questo impianto significa raccontare anche un pezzo della storia del nostro Paese e delle difficoltà di chi fa industria in Italia.
Quella della Carrozzeria Bertone è purtroppo una vicenda che abbiamo visto più di una volta negli ultimi anni.
Aziende, a volte storiche e ricche di tradizione, che dichiarano fallimento, che sono costrette a chiudere o semplicemente ad andarsene dal Paese, lasciandosi dietro migliaia di persone senza lavoro.
E’ la storia comune a tante imprese, grandi e piccole, strette tra due fuochi: da una parte, le inefficienze del sistema e le zavorre che pesano sul settore manifatturiero italiano; dall’altra, la pressione della concorrenza straniera.
Si tratta di una situazione che va avanti da almeno un decennio e sta portando ad un lento e inarrestabile declino industriale.
Non possiamo restare fermi a guardare.
Tutte le forze della società – il mondo economico e finanziario, i sindacati, le Istituzioni e il mondo politico in testa – … tutti quanti abbiamo il dovere di invertire questo trend, con ogni mezzo.
Dobbiamo farlo perché è l’unico modo perché l’Italia rialzi la testa, cominci ad attrarre investimenti dall’estero, torni a generare benessere e occupazione.
E’ l’unica strada perché l’Italia torni ad essere un Paese per giovani.
Lo possiamo fare impegnandoci a colmare qui gap di competitività che ci separano dagli altri Paesi europei.
Dobbiamo rimuovere gli ostacoli che gravano su chi fa industria in Italia e tengono lontani capitali preziosi per l’avvio di nuove attività.
Lo possiamo fare abbracciando finalmente, in ogni gradino della società, una cultura industriale che crede nella competizione; che vede le imprese e i lavoratori uniti ed alleati in questa sfida.
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Quello che vi posso assicurare è che noi intendiamo fare la nostra parte.
Il senso della cerimonia di oggi è anche questo.
Lo stabilimento “Giovanni Agnelli” ha l’opportunità di mettersi in gioco e di aprirsi al mondo.
E’ un’opportunità che stiamo costruendo anche per le altre nostre fabbriche italiane.
Ci permetterà di garantire alle nostre persone un impiego certo e prospettive di vita migliori.
Ma ci permetterà anche di esportare, insieme alle vetture, una nuova immagine dell’Italia.
Di un Paese tecnologicamente avanzato, nel quale è ancora possibile fare industria.
Di un Paese che è sinonimo di stile e di cura dei dettagli, in cui la cultura del fare e la passione per le cose fatte bene sono valori solidi e radicati.
Questo, in fondo, significa restare fedeli allo spirito con cui la Fiat fu fondata 114 anni fa.
Credo sia anche il modo migliore per onorare la memoria dell’Avvocato Agnelli, che si è sempre speso perché la Fiat non fosse solo un motore dello sviluppo economico del Paese ma diventasse un simbolo della migliore italianità all’estero.
Io non l’ho mai conosciuto di persona.
Ma, in fondo, lo conosciamo tutti.
Quello che ha rappresentato per il nostro Paese è talmente universale che ogni italiano, a modo proprio, lo ha sentito vicino e gli è stato riconoscente.
Come ha detto poco fa John Elkann, suo nonno ha dedicato una vita intera ad un grande ideale: promuovere l’Italia nel mondo e, allo stesso tempo, cercare di aprire il nostro Paese al mondo.
Il suo sforzo oggi è ancora vivo.
Si riflette nei motivi per cui abbiamo scelto di far rinascere questo stabilimento.
Si riflette nella missione internazionale che gli stiamo affidando.
Intitolare questa fabbrica all’Avvocato Agnelli è riconoscere che il suo obiettivo è anche il nostro: contribuire a fare dell’Italia un Paese rispettato e apprezzato in tutto il mondo.
Grazie a tutti.