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Le favole Alfa e Maserati nei progetti di Marchionne

Come ci spiega ottimamente Formiche.net di oggi (e lo ha fatto anche nei giorni scorsi) il trasloco da Torino a Detroit, via Olanda e Regno Unito, garantirà alla Fiat un futuro migliore di quello che le sarebbe toccato se fosse rimasta nella terra natia dove, se si vuole dare ascolto alle Cassandre, avrebbe rischiato il fallimento. E’ un giudizio da condividere: è difficile fare impresa in un Paese che tassa le attività produttive come se fossero parassitarie, dove il sindacato (o la parte più rilevante di esso) ha inguaribili nostalgie di autunno caldo, dove il lavoro costa più che in qualunque altro posto al mondo, dove i magistrati trattano gli imprenditori come tanti Berlusconi. Dunque, bravo Sergio Marchionne: ha fatto bene ad abbandonare un posto simile. L’Italia non è un Paese dove si possa fare industria: chi può è meglio che alzi i tacchi.

Questa è una parte del film sulla trasmigrazione della Fiat che non fa una grinza: è un ragionamento che fila via liscio con buona pace del ringhiante Maurizio Landini e della sua Fiom. Quello che invece non convince più di tanto è il sequel proposto da Marchionne e dal suo presidente, John Elkann, sul fulgido avvenire da loro pensato per quanto di Fiat rimane a casa, cioè per stabilimenti e attività automobilistiche localizzate nella vecchia patria del Lingotto. A leggere le loro parole sulla stampa nazionale, non ci sarebbero problemi: Fiat Italia produrrà ancora (ma non si sa per quanto) le piccole cilindrate come Panda e 500. Per il resto tutti gli sforzi del gruppo saranno dedicati a resuscitare due gloriosi marchi, Alfa Romeo e Maserati, destinati a competere con i migliori costruttori del mondo nel settore delle auto di lusso, di alta gamma.

Ora permettete qualche scetticismo. La Fiat non ha saputo reggere la concorrenza nel settore delle auto medie, quelle che nel mondo si vendono a milioni. Non ha saputo confrontarsi non solo con la Volkswagen, indiscussa prima della classe, ma neppure con Renault, con Peugeot-Citroen, con Ford Europa, con Opel-General Motors. Non è stata in grado di sfornare auto concorrenziali con modelli, diciamo, non proprio eccelsi tipo Clio, Kadett, ecc. e ora vuole scalzare dai loro piedistalli marchi come Mercedes, Audi, Bmw? Produttori che in decenni di serio lavoro hanno conquistato l’apprezzamento della più ambita e sofisticata clientela internazionale? E’ una bella favola. E la parte più affascinante sta nel seguito: Marchionne ed Elkann intendono sferrare questo ambizioso attacco alle ammiraglie delle quattro ruote con Alfa Romeo e Maserati. Ma saranno 20 anni che l’Alfa non mette sul mercato un prodotto non dico vincente, ma anche solamente accettabile. E la Maserati? Qui con i ricordi bisogna tornare indietro di mezzo secolo, se basta. Insomma, diciamolo con franchezza: quella che Marchionne ed Elkann dicono di voler muovere è un’armata Brancaleone. Difficilmente farà tremare qualcuno nei quartieri generali di Mercedes, Audi, Bmw.

Eppure qualcosa sull’altare dell’italianità andava sacrificato. E il duo di vertice del Lingotto si è inventato questa favola. Ieri Dagospia ha scritto che, abbandonata Torino per Detroit, ora Marchionne sta cercando di convincere Elkann a disfarsi anche delle due testate giornalistiche che controlla, cioè la Stampa (100 per cento Fiat) e Corriere della Sera (dove è socio di riferimento). Secondo l’amministratore delegato, ora che il trasloco oltre oceano è avvenuto senza eccessivi traumi, quei due giornali non servono più. Ma in questo probabilmente sbaglia: per raccontare favole, la carta stampata serve. Soprattutto se quelle favole hanno finali troppo fantasiosi.

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