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FCA, uno schiaffo ai sindacalisti alla Landini

La decisione è storica. La scomparsa della Fiat che rinasce sotto la sigla Fiat Chrysler Automobiles (FCA), con sede legale in Olanda e sede fiscale a Londra, dimostra che fare impresa in Italia è diventato quasi impossibile. Causa una complicatissima legislazione sul lavoro, un fisco che aggredisce e colpevolizza chi produce, un mondo sindacale che vive di rendita ideologica anacronistica e velleitaria.

La fine della Fiat italiana va ascritta alle eccessive pretese della Fiom, assecondata dalla Cgil che, spadroneggiando spadroneggiando, hanno finito con l’indurre il management a compiere l’unico passo risolutivo per salvare la più grande azienda nazionale: spostarsi all’estero per restare in piedi continuando a vivere in Italia rapportando gli addetti ai costi possibili e all’obbiettivo di restare competitivi sul piano europeo (e anche oltre), se la gestione risulterà libera di ragionare senza doversi quotidianamente scontrare coi sindacalisti del parassitismo.

Si è, dunque, avviato un nuovo corso aziendale che responsabilizza il sindacalismo ragionevole e marginalizza i sindacalisti dell’odio di classe e della pretesa di stabilire cosa, dove e come produrre; con alti salari, bassi rendimenti e progressive perdite di competitività. Gli eccessi della Fiom possono riverberarsi positivamente sugli altri sindacati, interessati alla difesa del lavoro e della collocazione degli impianti: ad esempio Mirafiori, come subito ha fatto la Cisl di Bonanni.

L’Italia ne sortisce fuori menomata? No, ne esce più rispettata sul piano internazionale. Dove si sa apprezzare il made in Italy; il livello dei marchi di qualità; il senso di responsabilità di quanti concorrono quotidianamente a lavorare e produrre anche in piena crisi economica e finanziaria mondiale. Tutte le altre sciatterie su chi è di sinistra e chi invece subisce le regole della destra, sono residuati di un veretosindacalismo ottocentesco: che pretende d’essere all’avanguardia nella tutela dei lavoratori, ma non si cura di chi il lavoro neppure ce l’ha.



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