Grazie all’autorizzazione dell’editore e dell’autore, pubblichiamo l’articolo del vicedirettore di MF/Milano Finanza, Antonio Satta, uscito sul quotidiano Italia Oggi diretto da Pierluigi Magnaschi
Le sberle in Parlamento non sono una novità; ci si è picchiati per l’adesione alla Nato, per una legge elettorale (e già negli anni 50…), per gli interventi militari. Darsele di santa ragione per la Banca d’Italia non era però mai accaduto. Gli austeri frequentatori di Palazzo Koch non sembravano tipi da suscitare grandi passioni politiche e invece la battaglia campale svoltasi a Montecitorio durante l’approvazione del decreto Imu-Bankitalia dimostra il contrario.
Le parole d’ordine dei grillini e di Fratelli d’Italia, assieme a quelle (più moderate nei toni) di Forza Italia e di Sel, sul regalo da 7,5 miliardi fatto alle banche con la ricapitalizzazione di via Nazionale sono travasate nei social network e volano da tweet a tweet. Ma hanno un fondamento o no? Vediamo.
La Banca d’Italia è stata privatizzata?
No, nel senso che era e resta un Istituto di diritto pubblico, ma i suoi azionisti sono privati, come avviene negli Stati Uniti con la Fed, banche, assicurazioni ed enti previdenziali. Gli stessi dal 1936, solo che prima non c’era un limite alle azioni possedute dai singoli soggetti, tanto che Intesa Sanpaolo e Unicredit, per effetto delle acquisizioni e fusioni delle vecchie banche d’interesse nazionale, hanno insieme più del 50% del capitale. Ora con le nuove norme nessuno potrà avere più del 3%. Chi possiede quote eccedenti ha 36 mesi per cederle (nella fase transitoria le può riacquistare la Banca d’Italia stessa, cui spetterà comunque la regia delle vendite e degli acquisti, avendo una sorta di diritto di veto).
Passato questo periodo (e il governo si è detto pronto a ridurne la durata), i diritti di voto delle azioni superiori al 3% verranno sterilizzati e a quei titoli non spetterà alcun dividendo. Inoltre, come in passato, gli azionisti non potranno influenzare l’azione dell’istituto, la cui governance è ancor più tutelata dalle nuove norme. L’indipendenza resta massima anche per il rafforzamento delle regole su incompatibilità, conflitti d’interesse e requisiti di accesso agli incarichi. Non solo; in quanto parte del Sistema europeo di banche centrali, l’Istituto è disciplinato dal trattato Ue, che in Italia ha rango di norma costituzionale e dallo statuto dello stesso Sebc.
Quanto costerà quest’operazione agli italiani?
Nemmeno un centesimo. L’Erario, invece, incasserà circa un miliardo di tasse sulle plusvalenze degli azionisti e il 20% d’imposta sui dividendi futuri degli stessi quotisti.
I 7,5 miliardi della ricapitalizzazione finiranno alle banche?
No, nel senso che solo chi venderà le quote incasserà del cash, a pagare però non sarà Bankitalia (se non, eventualmente, nel periodo transitorio), ma sarà il nuovo acquirente, che secondo l’emendamento introdotto al Senato, dovrà essere un soggetto italiano. Se la vendita dovesse essere effettuata alle cifre attualmente rivalutate, per Intesa ci sarebbero circa 2 miliardi d’incasso, per Unicredit 1,4 miliardi, per Generali 247 milioni, per la Cassa di Risparmio di Bologna 240 milioni, per l’Inps 150 milioni e per Carige 75 milioni.
Banca d’Italia ha dovuto intaccare le sue riserve per permettere quest’operazione?
Via Nazionale aveva un capitale sociale di 156 mila euro (immutato dal 1936) a fronte di un patrimonio netto di 23,5 miliardi, mentre la Banque de France ha un patrimonio di 9 miliardi, la Deutsche Bundesbank di 5,7, il Banco de España di 3,8, alla pari della Bank of England. Un terzo del patrimonio di Palazzo Koch, quindi, adesso è stato conferito al capitale sociale, i soldi restano negli stessi forzieri e il patrimonio netto residuo è più alto di quelle delle altre banche europee. In ogni caso sono state impegnate solo le riserve non collegate alle funzioni istituzionali svolte in regime di monopolio, in primo luogo l’emissione della moneta. Proprio questa limitazione ha di fatto ristretto, rispetto al passato, i diritti economici dei partecipanti.
I dividendi che ora Bankitalia destinerà agli azionisti sottrarranno risorse allo Stato?
Via Nazionale è sempre stata parca nel distribuire dividendi. Il vecchio statuto metteva un limite alla partecipazione agli utili (il 4% delle riserve), ma nel 2012 il dividendo distribuito ai soci è stato dello 0,5% (70 milioni). Proprio questa politica assai restrittiva, secondo Saccomanni, legittima la rivalutazione di quote rimaste ai valori di 78 anni fa. Le nuove regole prevedono ora un tetto massimo del 6%, ma legato al rendimento del solo capitale investito, che, al momento, fa prevedere un incasso di 450 milioni all’anno. Sulla carta, prima, si poteva anche superare questa cifra. Sono comunque fuori da questo calcolo i diritti di signoraggio che continueranno ad essere devoluti al Tesoro, e secondo quanto detto da Fabrizio Saccomanni alla Camera, i flussi dovrebbero restare omogenei (nel 2012 Bankitalia ha retrocesso allo Stato 1,5 mld). Come già detto, i dividendi degli azionisti saranno poi tassati al 20%.
La rivalutazione delle quote è un vantaggio per le banche?
Sì e anche notevole, ed è stato l’obiettivo principale del nuovo presidente dell’Abi, Antonio Patuelli. Come ha precisato la Bce nel parere inviato al governo italiano, i nuovi valori non potranno essere iscritti nel capitale di vigilanza per tutto il 2014 e quindi non varranno né per l’asset quality review né per i successivi stress test che si terranno in primavera in vista del passaggio al nuovo sistema di vigilanza europea. Se però, da questa valutazione, dovesse emergere il bisogno di aumenti di capitale, nel 2015 le banche italiane potrebbero utilizzare a quel fine le quote di Bankitalia rivalutate.
Nell’ammettere, di fronte alle proteste dell’opposizione, questo evidente vantaggio, il relatore di maggioranza Marco Causi (Pd) ha però ricordato che il rafforzamento del sistema finanziario e bancario nazionale è una necessità, tanto che dallo scoppio della crisi la Germania ha speso 64 miliardi per ricapitalizzare le sue banche, il Regno Unito 82, la Spagna 60 e la Francia 25. L’Italia finora, di miliardi, ne ha spesi solo 6 e non a fondo perduto, ma erogando a pochi istituti prestiti ad un tasso non indifferente. Con questa ultima operazione l’eventuale rafforzamento verrebbe fatto senza oneri per le casse pubbliche. Sempre Causi ha ricordato che al sistema finanziario, e solo a esso, è stato chiesto un contributo ulteriore di 2,1 miliardi nel 2013 e 1,5 nel 2014 con i super-acconti di Ires e Irap e la collegata addizionale. Soldi serviti a coprire la cancellazione della seconda rata Imu, motivo per quale sia la manovra fiscale sia la partita delle quote di Bankitalia non potevano che essere inserite nello stesso decreto.