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Cosa rivelano gli ultimi sondaggi su Renzi, Berlusconi e Grillo

I sondaggi demoscopici sulle intenzioni di voto – specie se resi noti in periodi ancora lontani dalle consultazioni – non sono fonti di verità assolute. Talvolta, essendo manipolati strumentalmente per gonfiare le preferenze reali che le principali forze raccolgono nel paese, risultano persino bugiardi e, quindi, inaffidabili. Però non vanno neppure sottostimati costituendo pur sempre riferimenti utili per percepire il senso degli orientamenti elettorali sempre mutabili; per cercare di comprenderne le più probabili linee di tendenza (cioè gli scostamenti fra una forza e l’altra); e per verificare cosa davvero si muove in un elettorato che non è mai stabile e nel quale prevale ancora un altissimo astensionismo.

Però, dal momento in cui Berlusconi e Renzi hanno sottoscritto un accordo per le riforme (anzitutto l’elettorale, ma anche quella del Titolo V della costituzione, la rivoluzione del senato, l’abbattimento dei costi della politica, la revisione della autonomie locali), i sondaggi meritano una attenzione maggiore. Anche perché, pur a distanza di pochi giorni, presentano differenze significative. Prescindendo dalla battaglia propagandistica circa il (presunto) vantaggio del centro-destra sul sinistra-centro (e viceversa), un dato non marginale merita attenzione: l’ulteriore abbassamento dei voti potenziali del Movimento 5 Stelle.

Nel volgere di una settimana – quella dell’ostruzionismo, dell’occupazione dell’aula e degli insulti alla presidente della camera –, i grillini, nei sondaggi non hanno aumentato consensi, ma ne hanno perduti: nella misura dello 0,7 per cento in sette giorni. In fondo, un livello non eccessivamente preoccupante per i capi di quel partito antiparlamentare che vagheggia per sé la maggioranza assoluta dei seggi. Però quello 0,7 in meno risulta si sia mosso più a favore del centro-destra che del sinistra-centro. Ciò conferma che, nelle ultime politiche, il M5S ha sottratto voti a tutte le vecchie formazioni, compreso il Popolo della libertà, presumibilmente in termini minimi.

I milioni di voti persi dal centro-destra sono invece andati ad infoltire il partito dell’astensionismo, che comprende sicuramente elettori che avevano reagito moralisticamente a certe mattane private di Berlusconi, rifiutandogli la conferma del proprio consenso non per motivi politici. Le concrete probabilità di recupero di Forza Italia risiedono in effetti in un magmatico mondo di opinione, per esempio d’origine cattolica, che non ha alcuna intenzione di spostarsi a sinistra. Berlusconi, vero uomo di comunicazione e uso avvalersi di un istituto demoscopico molto affidabile; sa quali sono le zone sensibili dell’elettorato italiano e troverà il modo di riattivare canali di simpatia rimasti ultimamente sospesi. Oltre tutto, nel vasto fronte astensionistico c’è molta gente che non tollera la sovrapposizione giudiziaria alla politica, ma teme le coperture che questa incontra nel giustizialismo di sinistra e, potenzialmente, è più influenzabile da Forza Italia che dall’estremismo che Renzi non è riuscito a rottamare nel Pd.

È persino significativo che Nando Pagnoncelli, non proprio un amico di Forza Italia, riconosca sul Corriere della Sera (3 febbraio) che, dopo la svolta chiara di Pier Ferdinando Casini, il centro-destra è potenzialmente più avanti del sinistra-centro, mentre il campo degli indecisi e del non voto (l’astensionismo) è sceso al 31,5 per cento, una percentuale ancora alta ma ulteriormente riducibile con una buona proposta politica.



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