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Sapelli spiega chi comanda in Italia e in Europa

La XVII legislatura non ha ancora compiuto un anno e già si profila il sopraggiungere della diciottesima. La frantumazione politica ha raggiunto apici raggelanti. Nel febbraio 2013 le liste ammesse alla competizione furono 169. La nuova legge in gestione dovrebbe scoraggiare la proliferazione di candidature destinate a sicuro insuccesso, ma le ambizioni umane sfuggono ad ogni logica. E, poi, un nuovo parlamento sarà davvero capace di invertire la rotta del precedente e di diventare decisionista? E sarà, la XVIII, una legislatura con una capacità autonoma, in grado cioè di scavalcare corporazioni consolidate che hanno sin qui frustrato qualsiasi iniziativa rifondatrice? In estrema sintesi, chi decide cosa in Italia?

Un economista di chiara fama, con esperienze manageriali di grande rispetto, Giulio Sapelli, nella pletora dei libri scritti pur nella consapevolezza di apparire come una voce reclamante nel deserto, negli ultimi due anni ha, fra gli altri, pubblicato due volumetti che hanno attinenza con i suindicati interrogativi. Si tratta di L’inverno di Monti. Il bisogno della politica (2012) e di Chi comanda in Italia (2013), entrambi usciti per Guerini e Associati. Nel primo volumetto l’a., ricordata la condizione dell’Italia di Stato molto più giovane di quelli prevalenti in Europa (Francia, Germania, Inghilterra e Spagna); e segnalati rapidissimamente i processi politici italiani dell’ultimo Novecento e del primo decennio del XXI secolo, passa ai riflessi della crisi economico-finanziaria mondiale, per quindi soffermarsi sull’arrivo di un nuovo condottiero. E lo presenta così: “Lui non è Napoleone.

Lui è il professor Monti, professore anche se con una bibliografia esilissima. Va in bicicletta, con la schiena eretta e percorre una strada senza curve, così da non dover mai muovere il busto”. Da tale premessa è facile intuire il seguito. Se l’Italia s’attendeva un esperto timoniere capace di superare le difficoltà incontrate sia da Berlusconi che da Prodi, si è invece ritrovata dinanzi al «rifiuto della soluzione politica», all’emergere di una «crudeltà istituzionale», dovuta ad un professore «non intellettuale», più prossimo a un «dictator romano» che ignora le persone, «non le ascolta, non le consulta», con ciò portando al «più freddo degli inverni quando si può piangere di sadica crudeltà allontanandosi sempre più dalla giustizia commutativa». Una conclusione da incorniciare in un museo di storia patria.

Nel secondo volumetto Sapelli è ancora più esplicito nella sua amara valutazione della politica nazionale, in cui «il potere in Italia è allo stato gassoso», sicché «non comanda nessuno: e quindi si comanda solo con il denaro». Sia chiaro: l’a. non è un qualunquista, un pentastellare; al contrario, nelle sue riflessioni traspare un forte senso della politica e, ancor più, del pensiero politico (da Machiavelli a Guicciardini a Fichte a Hobbes). Senza tante circonlocuzioni, Sapelli considera «bonapartisti» tanto Karl Marx che Mario Monti; mostra della simpatia per il processo di trasformazione in atto nel Pd; ma insiste particolarmente sulla «continua e inesauribile sottrazione di sovranità» subìta dal potere legislativo ad iniziativa di «poteri sovranazionali insieme invisibili e visibili e oligarchici». Per l’a. la funzione della politica va contraendosi. A favore di chi? Rileva Sapelli: «Oggi sono aumentate le magistrature indipendenti e i poteri degli ordini (si pensi ai magistrati), sono aumentate le aree della vita sociale sottratte alla decisione della vita politica e allocate nelle mani, invece, dei dirigenti d’impresa, come dimostrano le acquisizioni transnazionali sui cui il potere politico non riesce a esprimere nessuna istanza di regolazione».

Cosa ci si può attendere, dunque, da una nuova legislatura? Sapelli non possiede una ricetta miracolosa, non azzarda terapie alla stamina. Però esprime un giudizio su un’Europa che non sarà mai tale senza l’Inghilterra, «un paese transatlantico» da considerare essenziale per un nuovo ordine internazionale in cui si possano riassestare e rendere stabili i meccanismi di potere nazionali e internazionali, compresi «quelli italici».

 



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