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Iran, vi racconto paure e speranze dei giovani di Isfahan e Teheran

Il volto di Ahmed, giovane ragazzo della media borghesia di Isfahan, è leggermente malinconico. Il vento soffia sopra i suoi capelli di ventiduenne mentre parliamo in cima a una montagna dove sorge un vecchio tempio del fuoco abbandonato. Questo Paese, mi dice, è senza speranza, me ne voglio andare via il prima possibile. Io guardo l’orizzonte, rimango ammaliato dalla bellezza infinita degli spazi attorno a me, ma allo stesso tempo sono trafitto dalle parole del mio amico che si trasformano in una lancia che taglia il costato.

IRAN, ANGOLI E VOLTI DELLE STRADE DI ISFAHAN E TEHERAN. LE FOTO

Malinconia è la parola chiave per capire l’Iran, paese dalla vitalità infinita che si sente però castrato nelle sue aspirazioni da una politica che insegue una dichiarata morale, ma che abbandona i suoi figli. I sentimenti che senti in giro variano dal “prima o poi qualcosa dovrà cambiare, al nulla muterà meglio andarsene”. Sostegno al governo quasi non lo si sente. La Persia è un paese irrequieto, dalle mille anime. Il nuovo presidente Hassan Rohani, non cambierà nulla mi dice Ahmed, è come tutti gli altri. Altre persone la pensano in modo diverso, qualche speranza la hanno.

Narghess è più ottimista. Mentre guida su una grande arteria stradale sotto i monti Elbruz mi spiega che spera che con l’attenuamento delle sanzioni la gravissima crisi economica migliorerà. Nonostante creda che dovrebbero arrestare la maggiorate dei politici iraniani e non abbia alcuna fiducia nei religiosi, pensa che la classe politica abbia capito che solamente attraverso il dialogo con l’occidente l’economia possa migliorare. Mentre guida il velo le casca sulle spalle, lei non da segni di preoccuparsene e continua per la sua strada. La neve delle montagne riflette i raggi del sole, il cielo oggi è limpido, per un attimo lo smog di Teheran sembra concedere una tregua.

In un grande salotto che ricorda gli antichi fasti di un tempo che fu, Alì ha la camicia aperta fino al quarto bottone, è giovane, ricco e omosessuale. Guardandomi negli occhi mi dice che l’Iran è sommerso da problemi di ogni genere, ma non lo lascerà perché è il suo paese. La Persia, aggiunge, sta cambiando moltissimo, “rimarresti stupito da quanti genitori accettano l’omosessualità dei figli”. Preferisci Arak (simile ad una grappa) o Vodka locale, mi chiede, mentre la musica riempie l’aria della notte. Gli amici sono tutti arrivati, si respira voglia di stare insieme e di condividere la vita. Mentre il cane gironzola per le stanze, la gente si diverte e balla. Alì mi guarda e mi dice: “racconta al mondo quanto questo Paese sia bello e quanto la sua gente sia sofisticata e aperta. Non lo cambierei per nulla al mondo”.
Il sentimento prevalente tra le gente è un mix tra un profondo malcontento e una speranza per un possibile cambiamento che, in alcune persone, si trasforma in ottimismo e in altre muta in una malinconica depressione.

IRAN, ANGOLI E VOLTI DELLE STRADE DI ISFAHAN E TEHERAN. LE FOTO

L’arma maggiore che gli ayatollah hanno usato, mi dice un amico, è stata quella di convincere la popolazione “che nulla cambierà e che se vogliono bere, fare sesso, divertirsi, lo devono fare di nascosto. L’importante è che non si tenti di far politica. Se si valica questa linea rossa iniziano i problemi”. Un altra arma in mano alla Repubblica Islamica sono i soldi. L’Iran è un paese ricco, con un buono stato sociale e dove si vive molto meglio che in tante altre nazioni vicine. E’ proprio questo meccanismo, che era già andato in crisi con la rivoluzione verde del 2009, a essere rotto con le sanzioni economiche contro l’ambigua politica nucleare del Paese.

Le limitazioni alle transazioni finanziare hanno creato una profonda recessione e un iperinflazione che, aggiungendosi alla fame di libertà degli iraniani, ha minato ancora di più il fragile equilibrio su cui si fonda la Repubblica Islamica. E’ proprio questo pericolo che ha spinto l’ayatollah Khamenei a valutare la possibilità di un accordo sul nucleare con quello che ha sempre definito il “grande satana che tanto attrae gli iraniani sviandoli dalla vera via”. Il patto con il diavolo, aggiunge, “potrebbe essere l’unica chance di sopravvivenza della Repubblica Islamica”.

Mentre fumo un narghilè nella piazza centrale di Isfahan un giovane ragazzo che ha studiato metalmeccanica mi chiede, se secondo me, è meglio immigrare in Germania o negli Stati Uniti. Il fumo della pipa d’acqua sale lentamente verso il soffitto del locale già saturo d’odor di tabacco. Il ragazzo mi spiega che ha deciso di emigrare e avendo parte della famiglia negli Stati Uniti e parte in Germania non sa bene dove provare a chiedere il visto. Il tempo scorre e noi, tra un tè e l’altro, facciamo una rassegna dei pregi e difetti dei due paesi.
Una settimana dopo, mentre sorseggio arak nel salotto di una villa a Teheran nord, le prospettive si rovesciano e un giovane appartenente alla nobiltà persiana e che vive a Londra, mi spiega che molti ricchi stanno tornando perché, mentre l’Europa è in crisi, l’Iran è pieno di opportunità e di idee su cui investire.

La Persia è a un bivio, le speranze e le paure convivono nei cuori dei giovani iraniani e non è facile capire come andrà a finire. Se da un lato è certo che la maggior parte degli iraniani spera nella la fine del trentennale conflitto con gli americani, dall’altra non si può negare un inedita alleanza tattica: quella tra la parte più oltranzista del regime iraniano e i repubblicani americani, i sauditi e la destra israeliana per far fallire a tutti i costi questo riavvicinamento. L’arbitro di tutto questo potrebbe essere alla fine il misterioso ayatollah Khamenei che, ormai più che ottantenne, continua ad avere l’ultima parola sui destini del Paese.
Un tassista scendendo dalla strada di Shemshak, la nota stazione sciistica sopra Teheran, famosa non solo per le piste da sci, ma anche per le sfrenate feste, mi dice: Inshallah, se Dio vorrà, finalmente qualcosa cambierà.

Le curve si susseguono, attorno a noi spazi infiniti ricoperti di neve e picchi che sfiorano il cielo. Nella mia testa si affollano le voci di speranza e paura, felicità e depressione degli iraniani e mi mi vengono in mente dei versi del poeta medioevale persiano Omar Khayam: Quando l’ebbro usignolo trovò la via del giardino e ridente trovò il bocciolo di rosa e la coppa del vino,venne, e in misterioso bisbiglio mi disse all’orecchio: Considera bene: la vita trascorsa mai più, mai più non ritorna.

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