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Il trilemma del Pd

È iniziata la decade fatale nella quale può accomodarsi tutto o saltare tutto: partiti, governo, istituzioni, relazioni fra politica e mondo della produzione. Potrebbero essere le Idi di febbraio dei tanti novelli Cesari che, a vari livelli e con responsabilità diverse, credono di potere decidere per tutti e non fanno i conti con quelle unità marginali che, per il combinato disposto di una legge elettorale molto esecrata ma anche abbondantemente sfruttata particolarmente in senato – presunto luogo di sagge riflessioni – danno luogo a perdite totali di dignità ad esclusivo beneficio di un ordine di funzionari togati senza freni e contrappesi democratici.

Se tutti avessero un impeto d’orgoglio e si rendessero conto, almeno nei momenti nodali come quello nel quale si sono infilati, che non le contrapposizioni ideologiche e i referendum ad personam costituiscono il seme di una democrazia lasciata allo sbando su ogni fronte, potremmo, forse, vedere nascere qualcosa di molto positivo: una nuova legge elettorale fatta per dare stabilità alle istituzioni riconoscendo rappresentanza a quanti possiedano una identità politica e mostrino di raccogliere un consenso reale (e non presunto e neppure astrattamente potenziale), fermando finalmente la frantumazione, cioè la maledizione della nostra storia nazionale. Ma potremmo, soprattutto, avviare la riforma del Titolo V Cost.; dare vita ad un senato delle autonomie (che non si riduca ad unica espressione di amministratori locali, cioè a una camera alta dell’Anci); affrontare i nodi delle pessime condizioni del mercato del lavoro e delle stesse possibilità non punitive di fare impresa, e in maniera competitiva.

Se, ma, a condizione che… Nella stessa complessità e validità dei buoni propositi si cela l’insidia del particulare; del pesciolino che vuole ingoiarsi la balena; di istituzioni apparentemente blindate e superprotette ma dove l’agguato – di parlamentari timorosi di dovere cambiare mestiere e di presidenti che sembrano ignorare i doveri veri del proprio ruolo di garanzia legislativa – è in ogni luogo e momento possibile. In commissione, in aula, nelle procedure non rispettate, nelle spregiudicate manovre trasversali di persone che vantano una volontà progressista e, in concreto, si fanno ostaggi del peggiore conservatorismo e reazionarismo incivile.

In sostanza, quell’accolita di partitini, nomenclature intramontabili, burocrati che si credono professionisti della politica alta, reduci di tante esperienze tra loro incoerenti ed appicicaticce che porta il nome (immeritato) di Partito democratico, si trova dinanzi ad un trilemma: sostenere il Letta bis; chiedere al segretario Renzi di guidare un nuovo ministero con maggioranza estesa e non ristretta (altrimenti non avrebbe senso alcuno); ovvero andare a votare nella speranza che siano gli elettori e decidere ciò che i partiti del 2013 non sono stati capaci di decidere.

Se si vuole aiutare l’Italia a risollevarsi politicamente, economicamente e sul piano ordinamentale, la strada maestra è quella che emerge dalla intesa responsabile fra Renzi e Berlusconi (uniti nelle riforme, divisi politicamente). Mai, come dinanzi alle altre alternative riduttive (e presunte risolutive), le Idi di febbraio 2014 si prospettano sia fauste che infauste. Dal Colle all’ultimo senatore che avverte sul collo il fiato di un vento rigeneratore dell’aria vitale, ognuno è chiamato a fare la propria parte. Si spera senza odi e rancori antichi, che non assicurano mai nulla di buono.



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