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Martelli e l’immaginario socialista

Or non è guarì, come s’usava dire al tempo in cui i romanzieri italiani andavano a risciacquare i panni in Arno, è comparsa nelle librerie una autobiografia di un vecchio giovane promettente filosofo milanese; il quale per istinto, baldanza e qualità intellettuali riuscì a proporsi come il delfino di Bettino Craxi al tempo dell’«epopea laica e socialista». Il volume di memorie, s’intuisce, è opera di Claudio Martelli. S’intitola Ricordati di vivere; è edito da Bompiani; ripercorre trent’anni di storia politica nazionale; e, in qualche reduce del socialismo lanciainresta, può suscitare nostalgie.

Per i giovani lettori, che hanno scarsa memoria del recente passato perché non hanno maestri che li educhino alla democrazia, cioè al rispetto tra avversari, va subito precisato che Martelli è stato deputato italiano ed europeo, vicesegretario del Psi craxiano, vicepresidente del consiglio dell’ultimo governo Andreotti, ministro della giustizia mentre scoppiava la stagione di Mani Pulite e, in Sicilia (e non solo), la mafia s’era fatta quanto mai ardita. Ricordo questi ultimi particolari perché decisivi nell’abbattimento della Prima Repubblica. E perché, non sorprendentemente, Martelli dedica la sua autobiografia a Bettino Craxi (scacciato dall’Italia per l’imperversare di un giustizialismo vigliacco); a Giovanni Falcone (il «giudice più famoso del mondo», assassinato dalla mafia ma anche inspiegabilmente escluso dal consiglio superiore della magistratura); completando il martirologio coi nomi di Sergio Moroni, Gabriele Cagliari e Raul Gardini. Che, sottolinea l’autore, «scelsero di morire perché morire era la sola libertà che gli era rimasta».

Sono trascorsi quasi cinque lustri da quei tempi in cui la delazione non suffragata da prove di colpevolezza prese a dominare in Italia, facendo rapidamente dissolvere il sistema politico democratico repubblicano. Ma i milioni di carte giudiziarie che fungono da fonti ineccepibili per accademici privi di fantasia e di rispetto per la storia effettuale, non sono ancora valsi ad accertare, senza possibilità di dubbio, la verità. Per contro, l’andazzo miserevole di quell’epoca pervade ancora proprio la parte che, un tempo stalinista, si spaccia per la più democratica di un paese in permanente guerra fratricida.

L’autobiografia martelliana è divisa in tre parti. La prima tocca gli anni giovanili, quelli della formazione, delle prime conoscenze del pensiero socialista europeo, della svolta autonomista del Midas nel momento in cui il Psi era precipitato al suo minimo storico. La seconda si concentra sulla fase del decisionismo; dell’Hotel Raphael assunto come la «reggia di Bettino» e il «convento parasocialista» di Craxi al potere sino a fine anni Ottanta; del fiorire dei «delfini», con gli scontri violenti con la Dc di De Mita; della immaginazione di un nuovo insieme di «politici, fisici, medici e scienziati».

L’ultima è quella del sogno di una apoteosi arrestato dalla realtà sottostante alla politica pensata; dell’ultimo congresso del Psi; della terribile estate del 1992; dello smarcamento da Craxi e «dalla sua politica»; dell’invocazione: «Adesso il compito più urgente è quello di restituire l’onore ai socialisti», che cancellò persino i rapporti personali col Craxi ferito dai giudici. E qui il libro si conclude. Non con una autoassoluzione, bensì sottolineando l’amaro commento di Francesco Saverio Borrelli, all’epoca procuratore capo a Milano: «Chiedo scusa per il disastro seguito a “Mani Pulite”. Non valeva la pena di buttare il mondo precedente per cadere in quello attuale». Il classico cinico pianto del coccodrillo.



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