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La qualità della democrazia in Italia

Ventuno, fra accademici e ricercatori scientifici di politologia di vari atenei italiani, coordinati da Leonardo Morlino, Daniele Piana e Francesco Raniolo, hanno pubblicato ultimamente, per il Mulino, un saggio collettaneo su La qualità della democrazia in Italia, la cui lettura gioverebbe a quanti, a vario titolo si accingono ad occuparsi di consultazioni politiche quali dirigenti di partito o candidati a rappresentare un pulviscolo di formazioni che già di per sé non forniscono un contributo positivo allo svolgimento della democrazia nazionale.

Il gruppo degli studiosi, pur essendosi suddivisi spazi di ricerca specialistica, hanno esaminato un ventennio di politica italiana – quello compreso fra il 1992 (anno ultimo della Prima Repubblica e primo del depotenziamento della politica ad iniziativa della repressione giudiziaria della corruzione) e il 2012 (anno d’avvio di una esperienza di governo Monti, nata nel segno della speranza di un riscatto, tristemente tramontata). Ma tale periodizzazione è valsa, agli studiosi, non a verificare, se non a riprova, l’andamento degli orientamenti e dei comportamenti delle singole forze, bensì ad accertare il livello della qualità complessiva della democrazia italiana a confronto con altri sistemi nazionali, visti dall’angolo di visuale di cittadini ancora prima che di valutatori specializzati. Le considerazioni da essi svolte sono partite dalla premessa che una «democrazia di qualità» intanto risiede in un «assetto istituzionale stabile che attraverso istituzioni e meccanismi correttamente funzionati realizza libertà ed eguaglianza dei cittadini».

Morlino specifica che, per poter accertare la corrispondenza di un sistema politico concreto a tale premessa astratta, vanno analizzate a valutate otto dimensioni di variazione, cinque delle quali sono procedurali (il rispetto della legge; la responsabilità elettorale; la responsabilità istituzionale; la partecipazione; la competizione), due sono sostantive (il rispetto dei diritti che possono essere ampliati nel realizzare le diverse libertà; la progressiva realizzazione di una maggiore eguaglianza sociale ed economica), mentre l’ottava «attiene al risultato e riguarda la rispondenza, cioè la capacità di risposta dei governanti alle domande e alle necessità dei cittadini, che incontra la loro soddisfazione».

La tesi espressa da Daniele Piana e Francesco Raniolo è che, nel periodo 1992-2012 considerato, è possibile individuare quattro fasi del sistema partitico italiano: le prime due sono quelle della crisi vera e propria (che si può far risalire nel 1989 e arrivare al 1993) e l’altra della transizione (dalle elezioni del 1994 sino alla fine degli anni Novanta). Una terza fase, la più lunga, viene definita della stabilizzazione mancata (inizia nel 2001 con un bipolarismo «frammentato e polarizzato» e si conclude col breve governo Prodi e la crisi del governo Berlusconi del 2011).

Una quarta fase sarebbe quella della stabilizzazione istituzionale o dall’alto, connesso al governo Monti, che «sembra un dejà-vu (una riedizione dei governi tecnici della prima fase della transizione»). Dunque, è la scienza politologica, non i partiti viventi o morenti, e concludere che la democrazia italiana non corrisponde alle qualità richieste né in un sistema ottimale e di scuola, né a un modello sperimentale che tenga conto di variabili accettabili. Cui si aggiungono variabili sovranazionali, ovvero interdipendenze tra fattori nazionali, sovranazionali e internazionali: e la crisi economica mondiale, ancor oggi in atto, si è riverberata sull’Italia per l’appunto nella fase conclusiva del ventennio considerato e – possiamo aggiungere noi – andando ulteriormente scivolando verso il basso col governo tecnico di Monti.

Gli autori si soffermano a indicare uno schema di contenuti bisognevoli di profonde innovazioni e riforme per cercare di elevare la qualità della democrazia italiana, davvero molto bassa. Non compete ad essi specificare i dettagli. Ma, in questo volume denso di riflessioni, i vari docenti indicano ai responsabili politici gli aspetti più dolenti sui quali la politica potrebbe utilmente addentrarsi per non abbandonare a generazioni futuribili il compito di prodursi in cambiamenti che, invece, è oggi che bisogna considerare e portare a soluzione.

 



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