Fra chi sappia distinguere fra legalità e giustizialismo, la prima non figlia dell’altro, che, per natura ed esercizio, è reazionario ed assolutista, vale la pena di dare più d’un’occhiata al libricino di Luigi Ferrajoli, Dei diritti e delle garanzie, edito da Il Mulino e sortito da una conversazione con Mauro Barberis.
Per chi non lo conoscesse, Luigi Ferrajoli è un ex magistrato, noto all’estero come «il filosofo del diritto italiano». Mauro Barberis, invece, insegna filosofia del diritto all’ateneo triestino. Entrambi hanno scritto saggi che tutti gli uomini liberi dovrebbero almeno compulsare, specie in un momento come questo, così pregno d’illegalità diffusa.
Pur trattandosi di una conversazione, registrata a Roma nel dicembre 2012, riscritta fra le elezioni politiche e la formazione del governo Letta a seguito del caos registratosi fra i grandi elettori, infine conclusa col secondo mandato presidenziale a Giorgio Napolitano, ne è venuto fuori un nutrito saggio. Suddiviso in tre parti (Giustizia e legalità; Diritti e garanzie; Democrazia e politica), completate da un «Indice dei nomi e delle cose notevoli», come usava fare al tempo del primo enciclopedismo. D’altronde Ferrajoli è un «democratico radicale, illuminista e realista»; Barberis si considera un «liberale di sinistra, più scettico ma forse anche un po’ realista»; sicché dal dialogo fra i due studiosi, più che lamentazioni e rivendicazioni, emergono proposte: cioè esattamente ciò che difetta nel corpo dei magistrati, ma anche in quello dei professori, che teorizzano ciò che c’è ma non si spingono sino a suggerire ai politici come innovare nella legislazione civile e penale e come amministrare, legalmente e democraticamente, la giustizia.
Ferrajoli espone sinteticamente quelle ch’egli considera le basi fondamentali del garantismo: le garanzie primarie («i divieti e gli obblighi corrispondenti gli uni ai diritti consistenti in aspettative negative di non lesione e gli altri in diritti consistenti in aspettative positive di prestazione, come il divieto di uccidere che corrisponde al diritto alla vita e l’obbligo dell’assistenza sanitaria che corrisponde al diritto alla salute»); e le garanzie secondarie («gli interventi giurisdizionali diretti a riparare o a sanzionare le violazioni delle garanzie primarie»). Il filosofo pende per un garantismo contrastante col populismo, che considera caratteristico della destra e non anche della sinistra. Al punto da ritenere che il termine garantismo sia stato screditato «dall’uso strumentale che ne ha fatto la destra, sostanzialmente a sostegno dell’impunità dei potenti».
Ma Barberis obietta che occorre «proporre rimedi alle invasioni di campo dei magistrati» in quelli dei politici, com’è accaduto ad iniziativa dei pm Di Pietro, De Magistris e Ingroia. Ferrajoli ammette che vi sono stati «esibizionismo», «supponenza», «settarismo» di alcuni magistrati; contro i cui comportamenti occorre «proporre una deontologia giudiziaria opposta alla concezione e alla pratica da essi espresse».
Si comprende subito che la conversazione, di alto valore teorico e culturale, si sofferma a lungo sull’esperienza storica del garantismo occidentale, con riferimenti continui agli accadimenti italici dell’ultimo ventennio. Vi si parla di nuova legge elettorale; di riforma dei partiti; di incompatibilità e di ineleggibilità; di separazione fra partiti e poteri economici; di abolizione del finanziamento pubblico; di inefficienza e costosità delle regioni; di separazione fra istituzioni politiche e magistratura (si fa esplicito riferimento alle distinzioni fissate da Montesquieu). Ma anche di separazione fra cariche di partito e cariche istituzionali elettive (che poi costituisce il problema principale, il nodo della crisi che stiamo vivendo). Si chiude con l’invocazione di un raccordo fra giuristi ed economisti. E qui la conversazione si ferma. Ma a questo punto il recensore rischia di scantonare troppo e di suscitare l’attesa di una miscela ancora più esplosiva della valutazione dei poteri di cui, inevitabilmente, si sono appropriati, i pm ricordati dai due docenti e imitati da troppi altri colleghi esibizionisti.