Quando il 14 ottobre del 2007 Walter Veltroni fu nominato segretario nazionale del Pd dopo le consultazioni delle primarie dell’allora neonato Partito Democratico l’ex sindaco di Roma beccò 2,6 milioni di voti, quasi il 76% delle preferenze totali. Al secondo posto si posizionò Rosy Bindi, 460mila voti, nemmeno il 13%. A seguire Enrico Letta, 11%, Mario Adinolfi e Pier Giorgio Gawronski giusto qualche spicciolo. Allora votarono in tutto 3,6 milioni di elettori. Nel 2005, quando vennero inaugurate le primarie nel centro sinistra, i voti totali furono 4,6 milioni. All’epoca c’era l’Unione. Furono un mezzo plebiscito per Romano Prodi. Un milione di voti in più rispetto a come sarebbero andate le consultazioni del 2007. Erano altri tempi direte voi. Magari era solo il fascino della novità, preciso io.
Ieri le primarie hanno raccapezzato gli stessi voti del 2009. Poco più di tre milioni di voti. A spoglio quasi avvenuto il risultato parla chiaro: Bersani, Renzi, Vendola. Soldatino, King e D’Artagnan. Che perfino er Pomata e Mandrake, rispettivamente Montesano e Proietti nel film “Febbre da Cavallo”, c’avrebbero scommesso pure le mutande per quanto era scontato.
L’aspetto più interessante di queste primarie è stata la reazione che hanno scatenato nell’elettorato. Più precisamente in una minuscola parte dell’elettorato italiano che improvvisamente è salita alla ribalta delle cronache quasi come fosse la maggioranza assoluta del Popolo Sovrano. Hanno partecipato alle primarie circa il 6% degli aventi diritto al voto. Chi le ha volute ha continuato a spacciarcele fino alla fine come la grande occasione di rinascita della politica e la sana reazione al sentimento dell’antipolitica. Ci ha martellato con slogan melliflui, affettati, paternali, melensi e sdolcinati da finire in coma iperglicemico. Così mielosi che alla fine un bel po’ di gente è rimasta impiastricciata in mezzo al fascino viscoso di questo show. Bastava bazzicare sui vari social network, ieri. A leggere le reazioni di molti partecipanti, più che in Italia sembrava di essere finiti nella Romania del post Ceausescu. Nemmeno fossero state l’evento più significativo di tutta la storia repubblicana del nostro Paese. Va bene la partecipazione. Va bene l’entusiasmo. Va bene tutto quanto. Ma non passiamo da un’eccesso a un altro. Dallo“schifo” dell’antipolitica all’idolatria di un fatto interno a un partito che non ha nemmeno la maggioranza assoluta degli Italiani.
L’esasperata esaltazione dello “straordinario” effetto democratico di queste primarie ha avuto più il sapore di un elaborato evento mediatico per distogliere l’attenzione da altre faccende più complesse che la politica nostrana non riesce a gestire e a comprendere fino in fondo. Tipo Beppe Grillo e il Movimento di cui è a capo. Perché diciamocela tutta, la speranza da parte del Pd è solo quella di recuperare qualche voto da parte degli indecisi che, alle consultazioni nazionali, rischiano di strizzare l’occhiolino al comico genovese. E se, con le dovute cautele prendete a riferimento le recenti elezioni siciliane, non stiamo parlando proprio di quattro preferenze in croce.
Antonio Lupetti
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