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Ora Renzi cerchi i fischi

Pubblichiamo il commento di Federico Guiglia uscito sulla Gazzetta di Parma

Con un intervento al di sotto d’ogni aspettativa, il politico sul quale invece si ripongono, oggi, le maggiori speranze di tanti in Italia, ha cominciato al Senato il percorso del voto di fiducia che il suo nuovo governo chiede ai parlamentari. Matteo Renzi ha parlato più ai cittadini che non ai senatori in ascolto, e questo non è un male, anzi. Ha parlato, ma non ha detto: e questo è deludente. Nessuno attendeva da lui l’inutile elenco della spesa di troppi suoi predecessori. Ma neanche un impegno così generico e ovvio, da non poter che essere applaudito (anche se gli applausi del Senato sono stati pochi e poco entusiasti; ma neanche questo è un male per chi si candida a “cambiare tutto”).

Come si sa, Renzi non è più sindaco di Firenze, ma presidente del Consiglio a Roma. Non ha più vecchi dirigenti di partito da rottamare, ma un esecutivo giovane e paritario, fatto a sua immagine e somiglianza, da far lavorare. Non è più il leader del Pd che ha vinto le primarie, né il verboso fiorentino che ha buttato dalla Torre il pisano Enrico Letta con astuzia machiavellica. Oggi il giovanotto che piace, non è l’eterno Giamburrasca che ama le citazioni soprattutto del mondo dello spettacolo. Persino ieri, nell’aula di palazzo Madama che lui varcava per la prima volta, il suo pensiero è andato a Gigliola Cinquetti, e alla celebre “Non ho l’età”. Come se per i presidenti del Consiglio non ci fosse una sana via di mezzo fra l’evocare Sanremo e l’invocare i vari Dahrendorf e Fukuyama, politologi più citati che letti dagli altri e precedenti che volevano darsi un tono.

Ma il passato di Renzi che pure gli ha permesso di aprirsi la porta del futuro, non esiste più. D’ora in avanti il sindaco d’Italia rappresenta il motore della Repubblica in giacca e cravatta. E neanche il fatto che la moglie Agnese -bel nome manzoniano- abbia già dichiarato che non farà la promessa sposa del premier a palazzo Chigi, attenua le responsabilità del marito solitario. Oggi Matteo Renzi ha il dovere non più di coinvolgerci nei suoi sogni, ma di convincerci dei suoi propositi: che cosa intende fare per rimettere l’Italia in cammino. Con quali misure e quando. Con l’aiuto di quali forze politiche e istituzioni. Per esempio: a Bruxelles continueremo ad andare col cappello in mano o, approfittando anche della discreta statura di Matteo, magari proveremo a farci valere?

Ma soprattutto la politica economica, cioè la madre di tutte le battaglie: comincerà coi tagli alle spese o alle tasse, il nuovo corso?

Il governo userà la scure o le forbicine? Né basta l’assicurazione, che Renzi ha ripetuto ai senatori, delle “scelte radicali” in arrivo o dei “punti-chiave” che vanno dalla scuola, al lavoro, alle imposte. Il primo discorso istituzionale di un nuovo presidente del Consiglio che non è neanche parlamentare, non può ridursi a un elenco di tweet declamati a braccio per ottenere il “mi piace” dei fan. Adesso Matteo Renzi deve cercare i fischi, dimostrando, cioè, che proverà a cambiare l’Italia sul serio, fatalmente dividendola tra chi crede nella svolta possibile e chi la contrasterà. E poi quale svolta? Persino sui temi a lui cari -la cittadinanza italiana per i figli di stranieri nati in Italia e nuovi diritti per le coppie non sposate-, Matteo ha prospettato il compromesso, prima ancora di dirci qual sia la “sua” proposta. La rottura garibaldina dello stile impaludato del Palazzo -rottura che non guasta-, non è stata, dunque, accompagnata dalla rottura di contenuto della sua “diversa” ma non illustrata politica. E lo stile non basta per uscire dalla crisi.

Del resto, è l’economia la sfida che racchiude in sé tutte le novità che si attendono, ben oltre la legge elettorale e la riforma della Costituzione. E’ il ritorno dei marò in patria che può dare la conferma, e non solo la sensazione, che anche la politica internazionale dell’Italia sta cambiando. Se invece ogni contesa si riduce a dire ai senatori con aria di sfida che presto non saranno più senatori, oppure a polemizzare coi Cinque Stelle più nei panni di leader del Pd che di sindaco d’Italia, allora Matteo Renzi dimostra di non aver ancora fatto suo il suo nuovo ruolo.

Ieri per il presidente del Consiglio era in ballo la fiducia del Senato.

Ma da domani è la fiducia degli italiani quella che non dovrà perdere, se vorrà diventare l’italiano che ha cambiato l’Italia non soltanto a parole.

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