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India-Giappone, un’alleanza ad ampio raggio?

I segnali sono cominciati qualche anno fa, e sono giunti a maturazione nel 2013. L’anno scorso è stato pubblicato un documento molto interessante e ancora poco dibattuto in ambito internazionale, il “Documento quadro per l’alleanza e la cooperazione strategica indo-giapponese“, frutto della collaborazione tra il Japan institute for national fundamentals (Jinf) e la Vikenanda international foundation (Vif).

ÉLITE IN CONTATTO
Il primo è un think tank finanziato da privati, che ha sviluppato una concezione che verrebbe definita dai mainstream media (spesso ostili in via preconcetta ad un Giappone capace di fare politica estera indipendente dagli Usa) come “nazionalista” laddove è invece solo realista, ovvero attenta agli interessi nazionali, per esempio promuovendo una strategia energetica di rilancio del nucleare e una politica militare più adeguata al livello delle tensioni in Far East. Il secondo è un istituto di Nuova Delhi che raccoglie settori militari e diplomatici, diretto da Ajit Doval, ex capo del Bureau of intelligence e dall’ex ambasciatore a Mosca Prabhat P Shukla.

L’OFFERTA INDIANA AL GIAPPONE
Il documento per l’alleanza indo-giapponese non è occasionale, è il frutto di due anni di lavoro al più alto livello delle élite dei due Paesi asiatici. Sulla base della presenza di un migliaio di gruppi economici giapponesi in India e dell’interesse strategico comune ad utilizzare il pivot Usa per contenere la Cina (ma al tempo stesso, l’ascesa cinese per condizionare forme e strumenti della politica Usa nell’area), il documento riprende ed espande la proposta di “guardia oceanica” del controammiraglio nipponico (oggi senior fellow dell’Ocean policy research foundation di Tokyo) Kazumine Akimoto, sostanzialmente allargandola agli Stati Uniti, Francia, Sud Africa, Australia. Riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, scambi economici e commerciali intensificati, superamento dei “tabù” giapponesi su nucleare ed export delle armi, cooperazione cibernetica, cooperazione nel campo della difesa sono tutti capitoli interessanti che il documento ritiene possano essere leve per un innalzamento del profilo internazionale del Giappone. In pratica, Nuova Delhi offre a Tokyo quello che Washington, come dimostrato dalle recenti tensioni e polemiche sul “nazionalista” Abe, non può ancora (o forse non potrà mai) dare.

L’ACCORDO OVL-SUMITOMO MITSUI
Movimenti apprezzabili nella base economica vanno in questa direzione. Si prenda per esempio Ongc Videsh Limited (Ovl), il braccio internazionale della compagnia petrolifera di Stato Oil and natural gas company (Ongc), che ha siglato questo mese un accordo di finanziamento da 1,775 miliardi di dollari con un pool di banche capitanate dalla giapponese Sumitomo-Mitsui, che si è impegnata in prima fila con una linea da 700 milioni per cinque anni. Il prestito è uno delle maggiori operazioni finanziarie internazionali realizzate negli ultimi tre anni da gruppi indiani. A ciò si aggiunge una seconda facility, più piccola e a breve scadenza (bridge finance) da 725 milioni di dollari capitanata dall’americana Citi. In totale, 2,5 miliardi di dollari che serviranno ad OVL per acquisire il 10% del campo di gas Rovuma Area I Block a largo del Mozambico. Significativa è la presenza di partner giapponesi (oltre agli australiani di ANZ, alla Bank of India, alla RBS di Singapore e alle francesi Societè Generale e Paribas) nel pool di finanziamento: oltre a Sumitomo, infatti, a finanziare l’espansione di OVL ci sono anche Bank of Tokyo e Mizuho.

A fine gennaio, poi, OVL e Mitsui, il colosso industriale-minerario giapponese, hanno siglato un protocollo di intesa strategica, che potrà avere riflessi sia per l’ampliamento della base tecnologica del gruppo indiano – sempre più proiettato a concorrere sui mercati globali con le major occidentali – sia per fornire al Giappone sbocchi su mercati emergenti attraverso il trampolino indiano.


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