Skip to main content

Ecco le controindicazioni sulla super tassazione delle rendite finanziarie

È vero, è una sorta di privilegio fiscale: i titoli di Stato ed il risparmio postale sono tassati con una cedolare secca del 12,5%. Prima, erano addirittura esenti da ogni imposta presente e futura.

SU CHI GRAVA LA TASSAZIONE

In ogni caso, questa forma di tassazione vale solo per le persone fisiche residenti, perché tutti gli altri investitori portano i proventi degli interessi sul debito pubblico in bilancio e poi vengono tassati sugli utili d’esercizio secondo le aliquote ordinarie. Sembra tanto un favore fatto ai cittadini, ma invece è un favore che lo Stato fa a se stesso: serve ad alleggerire l’onere per interessi.

IL CONTO PER LE BANCHE

Cominciamo a fare i conti sulla tassazione degli interessi pagati sui titoli di Stato. Consideriamo innanzitutto le banche italiane, che si sono approvvigionate di liquidità all’1% presso la Bce, con le LTRO a tre anni, che hanno investito in titoli di Stato e che con gli interessi percepiti hanno coperto le perdite sugli altri prestiti: vero è che hanno dovuto pagare un altro 1% allo Stato, che si è fatto garante delle loro emissioni obbligazionarie che sono servite come collaterali, ma il tornaconto c’è. A dicembre 2013, i prestiti alle banche per finalità di politica monetaria sono ammontati a 235,8 miliardi di euro ed i prestiti erogati alle Pubbliche amministrazioni con i fondi derivanti dalla raccolta interna sono stati 258,3 miliardi di euro. Considerando le perdite sui crediti e gli accontonamenti per le sofferenze, di sicuro il sistema bancario non ha pagato il 20% sugli interessi percepiti. D’altra parte, se è stato ben mazzolato con l’Ires, che è stata aumentata per il 2013 del 30%, somma che è servita per coprire il mancato pagamento della seconda rata dell’Imu sulla prima casa, ha avuto il vantaggio della rivalutazione delle quote di partecipazione in Banca d’Italia.

QUANTO GRAVA SUI CITTADINI ITALIANI

Per quanto riguarda le persone fisiche residenti, possiamo prendere come base di riferimento i dati relativi alla ricchezza delle famiglie italiane a fine 2012. Mentre gli investimenti in titoli pubblici italiani sono ammontati a 184,7 miliardi di euro (erano 106,9 nel 1995), quelli nel risparmio postale sono arrivati a 313,7 miliardi (erano 103 miliardi nel 1995). Immaginando un tasso di interesse medio del 4,5%, i proventi per interessi sui titoli di Stato sono ammontati a circa 8,3 miliardi di euro, mentre è stato pagato 1 miliardo tondo a titolo di imposta con l’aliquota fissa del 12,5%. Per il risparmio postale, gli interessi incassati ammonterebbero a circa 14,1 miliardi di euro mentre le imposte non arrivano ad 1,8 miliardi. Ipotizziamo a questo punto un allineamento della cedolare secca del 12,5% all’aliquota ordinaria prevista per le rendite finanziarie: l’incasso erariale sugli interessi percepiti sui titoli di Stato non arriverebbe ad 1,8 miliardi di euro, mentre quello sugli interessi pagati dal risparmio postale arriverebbe a 2,8 miliardi. In totale, il maggior gettito sarebbe inferiore a 2 miliardi di euro.

LE INCOGNITE 

Purtroppo per chi pensa di avere trovato l’uovo di Colombo, l’incasso netto di questa ipotetica rimodulazione della tassazione sugli interessi sugli investimenti in titoli pubblici e nel risparmio postale è più basso, anzi nullo. Semplicemente perché gli investitori calcolano il rendimento al netto, e non al lordo della tassazione: l’aumento dell’aliquota fiscale in essere provoca un disinvestimento e la necessità di aumentare i rendimenti lordi per le nuove emissioni. Insomma, l’onere lordo per interessi aumenta.

DOVE SI TROVA LA MASSA DEI TITOLI PUBBLICI ITALIANI

C’è da dire, però, che l’ammontare dei titoli di Stato sottoscritto dai cittadini è esiguo rispetto al volume complessivo in circolazione, e che teoricamente altri sottoscrittori potrebbero subentrare senza che vi siano gli effetti prima ipotizzati. Vero è che i depositi bancari sono stagnanti e le obbligazioni bancarie mostrano una crescente disaffezione: è più che probabile, quindi, che il risparmio italiano prenda quindi il volo per altre destinazioni. Per il Tesoro, un pensiero in più. Questo ragionamento vale ancor più per il risparmio postale, che è praticamente tutto collocato all’interno: in questo caso, l’effetto di sostituzione sarà immediato, come è accaduto appena un paio d’anni fa, quando ci fu un ritardo eccessivo nel migliorare i tassi rispetto al mercato.

GLI EFFETTI SUL RISPARMIO POSTALE

E’ sicuro che la raccolta postale, se i tassi non vengono immediatamente aumentati, scemerà assai. E, se occorre remunerare di più il risparmio postale, o si riduce l’utile delle Poste oppure si rinegoziano gli accordi con la Cassa Depositi e Prestiti. Stavolta, per il Ministero dell’economia è una vera e propria partita di giro: con il rischio di perdere anche quote di risparmio. Chi sta lavorando per la privatizzazione delle Poste avrà parecchio da spiegare agli investitori sulla redditività di questo asset.

AMARA CONCLUSIONE

Se fino ad ora c’è stato un privilegio per il risparmio dei cittadini investito in titoli di Stato e postali, non è per una vecchia ed insulsa carineria: c’è un vantaggio reciproco. Se viene meno, liberi tutti. Per l’Erario, un altro buco.



CONDIVIDI SU:

Gallerie fotografiche correlate

×

Iscriviti alla newsletter