La finanza comunale di Roma ha una storia martoriata. Cinque anni fa, quando lo stock del debito esistente fu stralciato dal bilancio del Comune − e con esso una serie di altre partite che debito non erano, ma che permisero di alleggerire ulteriormente i conti del Campidoglio − Roma si trovò come si potrebbe trovare una famiglia abituata a pagare ogni mese 600 euro di mutuo se improvvisamente uno zio d´America si accollasse lui il pagamento. Quella famiglia avrebbe 600 euro di reddito in più al mese.
Negli anni di Alemanno questa circostanza ha portato a un aumento della spesa corrente, in particolare per i contratti di servizio delle aziende comunali (con relative assunzioni e discutibile efficacia sulla quantità e qualità dei servizi offerti). Poi però i contributi statali al bilancio si sono ridotti, come in tutti i Comuni d´Italia; le entrate hanno frenato, per effetto della crisi e forse anche di una scarsa attenzione amministrativa; e la Regione Lazio ci ha messo del suo, azzerando con la Polverini i contributi obbligatori per il trasporto pubblico, che Zingaretti ha riportato a soli 100 milioni di euro – erano storicamente 270, ed erano comunque molto più bassi di quelli che Milano riceve dalla Regione Lombardia. Marino ha così ereditato un bilancio in squilibrio corrente per circa un miliardo.
La famigerata norma “salva-roma” metteva un cerotto riportando nella gestione ordinaria del Comune alcune risorse del commissario straordinario. Non un euro in più a carico della finanza pubblica nazionale, ma un semplice ridisegno del perimetro ordinario-straordinario a valere su fondi già esistenti. Ciò dà ragione a chi disse fin dal 2008-2009 che le risorse assegnate alla gestione straordinaria (500 milioni all´anno, di cui 200 a carico dell´addizionale Irpef pagata dai cittadini romani) erano troppe, suggerendo la riunificazione delle due gestioni. Per modificare il vecchio piano di rientro dal debito pregresso è però necessaria una norma di legge perché quel piano non è stato approvato per via amministrativa – diversamente da tutti gli altri piani di rientro esistenti, sia quelli regionali per la sanità sia quelli comunali per i pre-dissesti − ma, appunto, per legge.
Ciò, sia detto per inciso, connota bene il carattere “politico” dell´operazione Berlusconi-Tremonti contro l´allora segretario del PD Walter Veltroni. Durante il suo mandato, peraltro, lo stock del debito comunale era cresciuto molto meno che in precedenza, da 6 a 7 miliardi in otto anni, per il finanziamento delle nuove metropolitane, e quello stock era, in termini procapite, inferiore a quello di molte altre città italiane, a partire da Torino e Milano. Il debito si era formato durante gli anni ´80 (3 miliardi) e ´90 (da 3 a 6 miliardi) per effetto del ripiano a piè di lista, anno dopo anno, dei disavanzi del trasporto pubblico locale.
Sarebbe bene che il governo Renzi, nel riscrivere la norma, “delegifichi” la gestione del piano di rientro e la agganci alle normali procedure, anche attivando un apposto tavolo tecnico inter-istituzionale fra Governo e Campidoglio, tavolo previsto dai decreti di Roma Capitale ma ancora mai insediato. E sarebbe bene poi che al “cerotto” sui bilanci del ´13 e ´14 si affiancassero due altre azioni politiche di più lungo respiro: un vero e proprio piano di rientro pluriennale, improntato a principi di risanamento e rigore ma anche di sostenibilità, così come quello previsto nell´emendamento del PD approvato in Senato; la piena attuazione delle norme già esistenti per tenere conto della “specialità” di Roma come Capitale della Repubblica, in base alle quali il Campidoglio dovrebbe ricevere somme a risarcimento degli oneri che si riflettono sulla finanza comunale ma hanno origine dalle funzioni “statali” della città e dovrebbe essere inserito nella programmazione della spesa per investimenti pubblici, e nei relativi finanziamenti disposti dal CIPE, per le opere di carattere strategico che interessano il territorio della Capitale.
Questa seconda “gamba” delle politiche per Roma mi sembra la più importante da attivare, e non solo per motivi finanziari. E´ ora di ricominciare a pensare alle strategie “alte” per la crescita della città e per la modernizzazione delle sue infrastrutture e reti, è ora insomma di non pensare solo alla gestione quotidiana e all´emergenza. Solo così, dotandosi di un progetto trainante con effetti positivi per l´intero paese, la comunità romana potrà risalire la china e rimettersi in sintonia con l´opinione pubblica del resto d´Italia.
(una versione ridotta dell’analisi è stata pubblicata sul quotidiano l’Unità del 2 marzo 2014)