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Gazprom, BP, Rosneft e gli intrecci energetici nordeuropei

Nell’anno in cui tutto il mondo ricorda il centenario della Grande Guerra (1914-1918), pochi sottolineano l’importanza di un altro anniversario, il trecentesimo dalla salita al trono d’Inghilterra della dinastia tedesca dei principi di Hannover (1714-1837). Per chi ama le ricorrenze storiche quello fu uno snodo fondamentale anche per la Russia, che si affacciò sulla scena europea dopo la vittoria sulla Svezia.

L’ASSE ANGLO-TEDESCO E IL NODO ROSNEFT
La ricorrenza sarebbe una buona occasione per evidenziare la centralità del rapporto anglo-tedesco, fondamentale in ottica UE e che, secondo le ultime statistiche, vede i flussi commerciali tra i due partner in forte crescita (nel 2013 le esportazioni tedesche in Gran Bretagna hanno raggiunto i 76 miliardi di euro, in crescita del 3,3% rispetto al 2012). Insomma, Berlino è diventata da qualche tempo il primo partner nello scambio di beni per Londra. I gruppi manifatturieri e finanziari tedeschi hanno investito 120 miliardi di euro in Gran Bretagna, e i gruppi britannici in terra tedesca (BP e Shell soprattutto) sono da tempo al centro del reticolato energetico nordeuropeo di cui la Germania è perno.

LA POLEMICA SU SCHROEDER
Il sassone di Hannover (e promotore di North Stream insieme con Gazprom), l’ex cancelliere Gerhard Schroeder è notoriamente al centro della liaison energetica russo-tedesca. Sul suo nome è scoppiata una battaglia mediatica, che fa capire quanto sia alta la posta in gioco in questi giorni: niente meno che la ridefinizione degli equilibri energetici “putiniani” in Russia, con ramificazioni che arrivano fino alla City di Londra passando per Berlino.
Secondo notizie di Kommersant e Pravda, Schroeder avrebbe dovuto essere incaricato di rappresentare gli interessi di British Petroleum dentro Rosneft. Ma l’ex cancelliere ha smentito seccamente.

UNA ROSNEFT MOLTO “BRITISH”
I media russi sembrano voler ricordare a Londra (e ai media della City in questi giorni scatenati contro Mosca) che ha un piede dentro gli assetti energetici del Paese. La joint venture petrolifera anglo-russa TNK-BP è fallita clamorosamente, ma il suo presidente di allora Robert Dudley è nel board di Rosneft, dove rappresenta gli interessi di BP, secondo azionista del gruppo con il 18% del capitale. Dudley, che è americano, si è fatto notare ultimamente per una critica agli spiriti indipendentisti della Scozia che non passerà inosservata tra gli analisti energetici della crisi ucraina, tutta giocata sul filo di sovranità statali da ridefinire sulla base di mai sopiti sentimenti e risentimenti nazionali.

PETROSTERLINE E INVESTIMENTI ANGLO-RUSSI
Il 12,3 miliardi di sterline pagati da Mosca a Londra per liquidare quote di BP sostanziano una relazione anglo-russa che non è fatta solo dai vistosi miliardari che si dividono tra Chelsea e la City, ma anche da un commercio che da dieci anni cresce a tassi del 20%, concentrandosi sui settori tecnologici ed energetici. A leggere certa stampa della City dal piglio anti-Putin non sembra affatto che Londra sia con un piede nell’opaca, ma ricchissima governance del sistema energetico russo. Il pragmatico interesse tradizionale inglese, di cui le campagne moralizzatrici sono solo uno schermo, è che il legame russo-tedesco non superi per importanza e consistenza la somma di quelli che la Gran Bretagna intrattiene con Berlino e Mosca.

E GAZPROM SI AFFACCIA SUL MARE DEL NORD
Ma non basta: a metà di quest’anno il gruppo Wintershall (controllato al 100% da Basf) cederà le attività di storage del gas a Gazprom, con cui è in joint venture dal 2003 per lo sfruttamento del campo di gas artico Achimov, in cui incrementerà la presenza al 25% in base all’accordo di swap approvato a dicembre dalla Commissione europea. Un accordo che comporta, da parte di Gazprom, l’ingresso nel Mare del Nord attraverso l’acquisizione del 50% di Wintershall Nordzee. Infine, RWE-DEA, il gruppo energetico basato ad Amburgo e tra i maggiori investitori esteri in Gran Bretagna anche attraverso la sussidiaria attiva nel Mare del Nord, potrebbe cedere la parte upstream (DEA) e il miliardario ucraino con passaporto russo Mikhail Fridman è considerato in pole position per l’acquisizione. Fridman è capo della conglomerata Alfa Group, che l’anno scorso ha aperto un fondo londinese da 20 miliardi di dollari dedicato agli investimenti energetici.

LE INCOGNITE DELL’ASSE DEL NORD
In generale le partnership chimiche ed energetiche giocano un ruolo crescente nel rapporto anglo-tedesco. Soprattutto contano dal punto di vista strategico perché la allargano ad Est, dove la Russia rischiava di essere tagliata fuori da altri capitoli centrali nella relazione Londra-Berlino come finanza e automotive, settori in cui gruppi tedeschi ed inglesi sono ormai strettamente connessi da tempo, e in cui Mosca è ancora relativamente arretrata (anche se sta recuperando attraverso il circuito delle petro-sterline).
Resta da capire quanto questo insieme di interessi, che possono oscillare anche molto (come si comprende dalla polemica anglo-tedesca sull’atteggiamento russo in Ucraina), possa reggere a pressioni esterne, specie da Washington. Infatti Berlino è parte della Ue e dell’Eurozona, Londra solo della Ue e Mosca di nessuna delle due: questa asimmetria e mancata centralizzazione può essere un elemento di debolezza, ma anche di flessibilità strategica nelle crisi globali.


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