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È la Germania la nuova Cina degli Stati Uniti

È già successo altre volte nel passato, ma oggi le circostanze sono ancor più pressanti e critiche: gli Stati Uniti si stanno innervosendo per l’elevato e persistente surplus delle partite correnti tedesche, fonte di “asimmetria” entro un’Eurozona in perenne stretta fiscale e che rappresenta una strategia di free riding della domanda globale, senza peraltro contribuire ad essa.

Significativo che il Tesoro statunitense riconosca il “progresso” cinese verso il riequilibrio bilaterale delle partite correnti, passato attraverso un apprezzamento dello yuan contro dollaro del 40 per cento dal 2005 ad oggi, a cui ha contribuito anche il recupero salariale in Cina.

Tra gli altri “peccatori” identificati da Washington si segnala l’Olanda, che ha un surplus delle partite correnti del 9,5 per cento (ma che lo perderà presto, di questo passo, vista la dinamica della crisi), e, fuori dall’euro, la Svizzera, con il 13 per cento. Berna viene tuttavia “perdonata” in quanto esempio pressoché irripetibile di un safe haven che combatte contro la deflazione e cerca di difendersi dagli squilibri prodotti dall’Eurozona a targa tedesca, anche se in questa difesa gli svizzeri causano a loro volta altri e non meno gravi squilibri e distorsioni.

La Germania non viene etichettata dal Tesoro statunitense come un “manipolatore valutario” ma il problema esiste, anche perché gli americani, alla vigilia della loro stretta fiscale 2013 (che potrà essere moderata o violenta, in caso riescano o meno ad evitare il fiscal cliff) hanno bisogno di nuovi motori globali di crescita, e non di un cratere di mezzo miliardo di persone che genera deflazione su scala planetaria.

@phastidio



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