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Per Renzi pericoli interni al Pd

Mentre a Parigi Matteo Renzi cercava di spiegare a Hollande perché l’Italia, col recente cambio di guida politica, potrebbe svolgere un ruolo meno subalterno alla Germania trovando una intesa più cordiale con la Francia, a Roma una assemblea regionale del Pd, partito di cui Renzi è segretario, stando alle cronache, precipitava in pieno caos, si frantumava in una rissa non solo verbale ma fisica, con ricorso ad autoambulanze e a pronti soccorsi sanitari. Episodi analoghi si sono registrati nel Pd di Modena, Salerno e Bari.

C’è un indubbio stridore fra il compito che Renzi si era auto-assegnato nella sua visita di Stato e la vita ordinaria del suo partito. Oltre tutto chiamato a discutere di candidature alle elezioni europee di maggio. Gli scontri fisici fra gruppi concorrenti potrebbero persino essere osservati con tollerante leggerezza, vista la piega che, da parecchio tempo, caratterizza un partito che riduce tutta la sua presenza politica a contare e pesare le risultanze delle contrapposte candidature emerse nelle primarie. Il guaio, però, piuttosto serio, è che le lotte interne al Pd ruotano tutte intorno a clan collegati a Tizio o a Caio e non evidenziano sostanziali differenze di orientamento e di strategia politica. Sicché gli stessi giornalisti ammessi a tali, chiamiamoli dibattiti, stentano e riferire cosa pretendano i sostenitori di Quidam o quelli di Sempronio.

Nel caso specifico della assemblea regionale laziale del Pd, svoltasi in una sede storica del Pci, nel cortocircuito delle procedure d’insediamento della stessa presidenza, più volte interrotte per le richieste di verifica del numero legale, un dato è però emerso in maniera chiara: la candidata renziana era in minoranza, mentre risultava prevalere un’alleanza di postcomunisti, particolarmente solida nell’Alto Lazio e in Roma città. Ponendo in palese difficoltà il segretario nazionale di un partito che è, contemporaneamente, presidente del consiglio e, tutti i santi giorni, ancora appena in fasce, è sottoposto al fuoco concentrico di compagni parlamentari ribelli e fortemente contestatori del governo della Leopolda.

Fa bene Renzi a curarsi poco delle piccole questioni bottegaie locali. Ma deve stare anche molto attento che le indegne e piccole diatribe municipali non si coniughino con i grandi rifiuti dei dissidenti parlamentari piddini: che non sono – come è ormai trasparentemente chiaro – soltanto le minoranze delle primarie, bensì più consistenti gruppi che s’inventano qualsiasi obiezione e strumento dilatorio per non finire rottamati.



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