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Quel voto di vent’anni fa

Il 27-28 marzo 1994 si votò per la prima volta dopo lo sconvolgimento manipulitista dei partiti storici della repubblica. Per la camera concorrevano 2.895 candidati (nel 1992 erano stati 9.743). La forte differenza era dovuta al mutamento del sistema elettorale. Dal 1946 le assemblee istituzionali venivano in Italia elette con sistema proporzionale con preferenze plurime. Il voto del marzo 1994 fu invece regolato dal Mattarellum, che assegnava il 75 per cento dei seggi della camera con sistema maggioritario uninominale e soltanto il restante 25 per cento su base proporzionale, ma avvalendosi di una sola preferenza.

In virtù della par condicio radiotelevisiva, una marea di sconosciuti aveva potuto usufruire di una campagna elettorale personalizzata non immaginabile col tradizionale sistema. Ma intellettuali e politologi non considerarono democratica una videocrazia fondata su un abbassamento radicale della propaganda dei partiti e degli stessi programmi politici. Che risultarono estremamente concentrati in pochi punti striminziti e persino apparentemente tutti uguali, quando in realtà era in corso uno scontro «di ragli e bavagli» (come si scrisse autorevolmente), a fronte di una spaccatura del paese: che mostrava una vistosa insofferenza per il sistema dei partiti; e una tendenza a cambiare il sistema istituzionale e a modificare il rapporto fra elettore e poteri pubblici.

La par condicio imponeva inoltre che, nelle ultime due settimane di campagna elettorale, fosse vietata la pubblicazione dei sondaggi demoscopici sulle intenzioni di voto. Quel divieto venne parzialmente aggirato dai media facendo ricorso a giudizi giornalistici che influenzavano in qualche modo l’elettore: mostravano propensioni differenziate, ma apparentemente non prendevano posizione a favore di alcun partito. Anzi, di nessuna coalizione, giacché la novità di quella tornata elettorale era tutta racchiusa nello slogan «o di qua o di là» che, affermando il principio del coalizionismo e non più quello del partito, giustificava l’utilizzazione più opportuna del nuovo sistema elettorale per ottenere seggi non in virtù dei soli consensi ricevuti (come tradizione della repubblica), ma in funzione della aggregazione fra partiti per aggiudicarsi il premio maggioritarista.
Ad un modo singolare per esprimere pubblicamente una preferenza partitica (e/o coalizionista) evitando le sanzioni della par condicio ricorse Il Sole 24 Ore.

Avvalendosi di un gruppo di lavoro composto da quattro docenti universitari (Maurizio Ferrere dell’università di Pavia, Maurizio Galimberti chief economist del Sole, Pietro Ignazi dell’università di Bologna e Giacomo Sani dell’università di Pavia), il quotidiano della Confindustria, il giorno prima del voto, diede le sue pagelle ai programmi dei partiti, analizzati per sette voci, per ognuna delle quali era stato assegnato un voto: comunicazione, completezza, chiarezza precisione, coerenza, realismo, carattere innovativo. Ovviamente il giudizio era soggettivo, benché professionale; e, il risultato, forniva una indicazione di voto più che un giudizio oggettivo.

Il risultato più eclatante delle pagelle fu la vittoria del Pds sugli altri partiti. La Quercia di Achille Occhetto risultò accreditata di una media-voto di 8,1 (con picchi di 9 nelle voci completezza, chiarezza e precisione, e soltanto un 6 per il senso innovativo). Forza Italia, che sbarcava nell’agone politico per la prima volta, ottenne soltanto un 7,6 (venendo penalizzata con un 6 nella voce realismo). Bene risultò la sinistrorsa alleanza democratica, con una media-voto del 7,4. I verdi strapparono la sufficienza con un 6 secco. Risultarono rinviati a settembre la Lega di Bossi con un 5,9 (ma con un 4 in coerenza e realismo); il Patto per l’Italia di Segni con un 5,9. Decisamente bocciati: Alleanza nazionale (con una media del 5, ma con un 4 in coerenza e un 2 in realismo); il partito popolare di Martinazzoli (con un 5 medio, ma con un 4 in comunicazione, precisione e carattere innovativo); Rifondazione comunista con un 5 medio, ma con un 2 in coerenza e in realismo. Buon ultimo risultò il Ccd di Casini, con una media del 4,4, ma con un 4 in comunicazione e in innovazione e un penalizzante 3 in completezza e precisione.

Ad assumere quei voti come fossero indicativi di intenzioni di voto reali e, quindi, come sondaggi mascherati, i postcomunisti venivano considerati i grandi favoriti della competizione. Mentre tutti gli altri partiti ideologicamente identificabili venivano considerati perdenti in partenza. Manteneva una posizione di rilievo (ma non tale da farla prevedere vincente) la neonata Forza Italia di Berlusconi, mentre la Lega di Bossi e Miglio veniva data al di sotto della sufficienza e le altre forze consociate nel centro-destra (An e Ccd) venivano considerate, più che insufficienti: bocciate. I media di Stato e i grandi organi d’informazione non nascondevano preferenze del tipo di quelle emergenti dalle pagelle del Sole. Gli elettori ribaltarono totalmente quelle pagelle-previsioni, assegnando una straordinaria vittoria a Berlusconi e alleati.

Il Corriere della Sera, che s’era distinto nel tifare per Occhetto, così il 29 marzo 1994 annunciava su tutta la prima pagina l’esito elettorale. Svolta a destra: Prima Forza Italia, Fini raddoppia, la Lega tiene, senza quorum Psi, Rete, Ad e Verdi. Vince Berlusconi, sinistra sconfitta. Nota non di colore: a Milano Piazza Affari, con un + 3,7, segnò un boom per la lira e i titoli di Stato, spingendo giù marco e dollaro.

 



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